“Mi ha salvata il mio Angelo”, storia di una dottoressa divenuta suora laica
Stato Donna, 16 gennio 2022. Non è esattamente usuale che un medico decida di dedicare la propria vita al Signore: si tratta di una scelta che molti definirebbero “coraggiosa”, che rinverdisce, nell’immaginario collettivo, l’eterno dissidio tra Scienza e Fede.
In realtà probabilmente non si tratta neppure di una vera e propria scelta: la vocazione “accade”, come succede di nascere e di morire. Non mi dilungherò in merito alla perfetta compatibilità, in una mente pensante, tra la fiducia in Dio ed il pensiero scientifico: non possiedo gli strumenti culturali per spiegarlo ad altri. Vi racconterò, invece, quel che è accaduto a me, perché ciascuno possa trarre, dalla mia esperienza, le proprie conclusioni.
Ho desiderato essere un medico da quando ero bambina e ho portato a compimento gli studi con caparbietà e abnegazione. Ho sempre affrontato con estrema – forse eccessiva – serietà qualsiasi impegno, tant’è che un gioioso svago, quale avrebbe dovuto essere per me lo studio del pianoforte, si è poi concluso con un diploma in Conservatorio, conseguito dopo dieci anni di studio matto e disperato. Sono stata sempre piuttosto ambiziosa: ho conseguito la laurea in Medicina col massimo dei voti, e in seguito ho preteso di diventare un chirurgo, soltanto perché all’epoca si sarebbe detta un’opzione preclusa ad una dottoressa. Ho frequentato la scuola di specializzazione in una città lontana da quella in cui ero nata e cresciuta e dalla quale non mi ero mai allontanata, ho conquistato disinvoltamente il titolo di specialista, e ho vinto un concorso pubblico immediatamente dopo la specializzazione.
Ho dedicato tutta la mia giovinezza all’esercizio della Professione, impegnandomi a servirla e a onorarla, senza mai trascurare alcun dettaglio. Ho cercato di schivare gli errori, ma naturalmente anch’io ne ho commessi; malgrado ciò, è opinione comune che sia stata un buon medico. Ho riempito la mia esistenza di molteplici interessi, ho inventato, sperimentato, pubblicato..
Mi sono dedicata anche all’arte, alla cultura, all’ambiente, agli animali…Eppure, alla mia vita mancava qualcosa. Più precisamente, mancava QUALCUNO.
Ho sempre, costantemente percepito un vuoto raggelante intorno a me, una devastante solitudine cui nulla e nessuno riusciva a porre rimedio. Pertanto ho viaggiato, ho incontrato persone, ho conosciuto culture diverse e lontane, ma niente poteva completarmi, ed io non ne comprendevo la ragione.
Improvvisamente, è accaduto qualcosa di straordinario e inatteso: si presentò, a turbare la monotonia rassicurante della mia quotidianità, l’inaspettata occasione di tornare nella mia città natale, il luogo da cui ero fuggita tanti anni prima per realizzare appieno le mie “strabilianti capacità”. Colsi l’occasione al volo, ma, dopo l’iniziale entusiasmo, realizzai che per la prima volta avevo preso una decisione sbagliata: l’esperienza si rivelò piuttosto penalizzante, poiché mi trovai catapultata in una realtà ostile, complessa e del tutto sconosciuta, che mi obbligò a mettere in discussione tutte le certezze che avevo faticosamente conquistato in tanti anni di onorata carriera.
Intorno a me si affollavano colleghi giovani e rampanti, pazienti spesso ingrati e aggressivi, e decine, centinaia, migliaia di poveri. C’era tanta miseria, intorno a me. C’erano, tra i ricoverati, migranti provenienti dai ghetti di Capitanata, persone senza fissa dimora, anziani abbandonati. Avendo perso di vista il mio “obiettivo”, cominciai a dedicarmi a loro, agli “ultimi” della complessa impalcatura sociale della mia vituperata città. Intrapresi una proficua collaborazione con un’associazione di volontariato religiosa, sebbene non potessi definirmi esattamente una “cattolica praticante”.
Fino ad allora, avevo vissuto la religione in modo critico e aberrante, subissando Dio di pretese ed aspettative che venivano tuttavia sistematicamente disattese: in effetti, avrei preteso che il Signore interagisse con me, rispondesse a quanto gli chiedevo, dissipasse nel mio cuore le tenebre del dubbio e dell’inquietudine.
Io non comprendevo la ragione della sofferenza, e stentavo ad accettarla, pertanto accusavo Dio di abusare della propria onnipotenza, che si ostinava a manifestare esclusivamente a propria discrezione. Perciò ritenevo di non aver ricevuto il dono della fede, e continuavo a vivere nell’incertezza, come chi continua a cercare, ma non trova.
Mi ammalai di depressione, e riuscii a guarire; emersi dal baratro, per vincere l’ennesima sfida, ma non fui in grado di estirpare dalla mia anima il costante, dirompente bisogno di comprendere le oscure e profonde ragioni della mia tormentata esistenza.Un giorno credo d’aver sfiorato la disperazione più assoluta e destabilizzante: quel giorno si schiuse improvvisamente davanti ai miei occhi, nella sua miseria, tutta la fragilità della mia condizione.
La rivelazione ebbe luogo durante un turno di guardia notturno, in assoluto il più disastroso e sfibrante che avessi mai affrontato. Arrivai a dubitare della mia vocazione alla Medicina, misi in discussione tutto ciò che fino ad allora avevo faticosamente realizzato. Al mattino ero comprensibilmente distrutta, mi sentivo svuotata ed affranta, instabile e vacillante come se avessi perduto l’appoggio, il cardine, il riferimento. Sentivo forte, imperioso, il desiderio di morire.
Ricordai, d’un tratto, che da ragazza avevo fatto un sogno, un sogno veramente molto singolare. Avevo sognato di correre a perdifiato in un bosco, al buio, mentre delle bestie fameliche e terrificanti mi inseguivano, latrando. Una voce, però, mormorava al mio orecchio: “Non fermarti! Non farti prendere, non consegnarti al male!”
Ed io correvo, correvo senza sosta, finché non mi trovai dinanzi a un profondo precipizio, e senza esitare, benché sopraffatta dalla paura, mi lanciai nel vuoto. Mentre precipitavo, percorrendo in caduta libera e a velocità supersonica la profondità del precipizio, all’improvviso due braccia forti e nerborute mi afferrarono, sollevandomi, e mi condussero nel mezzo d’un cielo azzurro e terso. Alzai lo sguardo, e vidi sopra di me due ali candide e immense che si agitavano in volo. Un Angelo mi aveva salvata: il mio Angelo.
Da allora in poi, ho parlato ogni giorno con quell’Angelo, e ho continuato a farlo per tutta la vita. Visitavo regolarmente, e con inspiegabile assiduità, il Santuario in cui Egli era apparso, poco distante dalla mia città natale. Ebbene, dopo il fatidico e disperante turno di notte di cui raccontavo, avvilita e distrutta dalla fatica, decisi di partire da sola alla volta del Santuario.
Giunta a destinazione, si presentò ai miei occhi un curioso scenario: la Basilica, che è da sempre meta di pellegrinaggio ed è regolarmente gremita di fedeli provenienti da ogni angolo del pianeta, era deserta; c’era una suora, all’ingresso, e nessun altro. Nessun altro, naturalmente, a parte Lui. Il mio Angelo era lì, altero e imperturbabile, ma io avevo la precisa, inequivocabile sensazione che mi stesse aspettando.
“Principe – Gli chiesi – io a questo punto non so davvero cosa fare; la vuoi Tu, questa mia vita?” Non so spiegare cosa sia accaduto in quel momento, ma improvvisamente ho percepito di trovarmi dentro il Suo abbraccio. Mi sono sentita accolta. Mi sono sentita amata. Ho sentito che Colui che avevo atteso per tutta la vita finalmente mi aveva trovata. Ho percepito l’abbraccio di Dio, in tutta la sua straordinaria forza, e ho sentito nel cuore il calore confortante della Sua pace…La pace, sì! Che magnifica beatitudine! Le lacrime cominciarono a sgorgare copiose dai miei occhi, ma erano lacrime di felicità, d’una felicità immensa, che mai avevo conosciuto…Da quel giorno ogni cosa è cambiata.
Ho deciso di prendere i voti, ma di restare nel mondo, affinché possa continuare ad investire i “talenti” che il Signore mi ha donato, mettendoli al servizio di chi soffre. Vedo in ogni mio simile un fratello o una sorella, e mi domando cosa possa fare per condividere la Luce che ha investito la mia esistenza con ciascuno di loro. Il Signore affida i pazienti alle mie cure, ed io mi impegno a soccorrerli e a guarirli, non già per sfidare la malattia e la morte, com’era un tempo, né per mettere alla prova le mie capacità, ma per restituire al prossimo la gioia di tornare a vivere, e naturalmente per obbedire a Lui, che ogni istante mi rammenta quale sia la strada sicura che mi condurrà nel Suo abbraccio.
Benché le avversità continuino a creare inciampi lungo il sentiero, non c’è buio nel mio cuore, perché non sono più sola, e so che non lo sarò mai più. Ho finalmente compreso che la fede è un dono straordinario che il Signore concede a chi Lo cerca: nessuno troverà mai il tesoro che non ha cercato. Perciò, fratelli e sorelle, non abbandonate la speranza, né l’inabbattibile, misteriosa fiducia che Dio tornerà a visitare la vostra vita. Non stancatevi mai di chiedere e di cercare, perché Egli vi mostrerà il Suo volto, e credetemi, niente, niente sarà mai più come prima.
A cura di Suor Micaela