Stato Donna, 11 gennaio 2022. Un papà ha ucciso il suo bambino di 7 anni. Lo ha fatto in modo atroce, soffocandolo con uno straccio perché non gridasse, per poi sgozzarlo. Le fonti giornalistiche parlano di un movente preciso: punire la madre e i familiari della moglie, colpevole di averlo lasciato. Sulla scena del delitto è presente, inconsapevole, anche il nonno, cui il bambino doveva fare una sorpresa e che non doveva muoversi dalla sua camera in attesa di questa sorpresa.
Il figlio che deve morire per punire l’altro coniuge; l’odio per la famiglia del coniuge, che deve soffrire allo stesso modo; il bambino che ha avuto momenti lunghissimi per presagire l’orrore: tutto questo l’aveva già fatto Medea, la donna che il mito greco ci consegna come assassina dei due figli, per punire il marito colpevole. Certo l’arida cronaca del gesto con cui questo padre uccide il suo figlioletto non ci consegna i suoi pensieri.
Non sappiamo nulla di lui mentre sappiamo tutto di Medea. Medea nutre un odio feroce verso il marito traditore Giasone, che in base alle leggi antiche poteva sposare un’altra donna, pur avendo formato già una famiglia. Euripide, il grande tragediografo ateniese, ci consegna anche le parole furiose con cui Medea decide di uccidere la nuova consorte del marito fedifrago e con lei il padre, re di Corinto,
Ignari e pronti ai festeggiamenti, i bambini recano in dono alla rivale della madre una veste imbevuta di veleno, che sarà fatale alla ragazza e al suo papà quando l’abbraccia morente. Si individua nella cronaca della morte del piccolo Daniele lo stesso schema dello scatenamento del piano di vendetta: il bambino deve morire; il bambino è utilizzato per una vendetta chiara, precisa.
Non sappiamo se questo papà di oggi ha avuto momenti di ondeggiamento nell’effettuazione del suo piano; se, come Medea, ha per un attimo preso in considerazione l’idea di non effettuarlo, per un sussulto di amore per il figlio.
Lo sviluppo dei pensieri lo si conoscerà, forse, quando tutto sarà passato al vaglio del tribunale. Quello che colpisce a distanza di millenni dall’apparizione di Meda assassina è il proposito di vendicare in modo quasi uguale l’amor proprio ferito. Nel mondo degli antichi greci il figlio maschio era per un uomo un bene preziosissimo, la garanzia di tutta una serie di sicurezze sulla prosecuzione del proprio nome, del proprio sangue, in una civiltà che dava al padre il potere assoluto su ogni membro della famiglia e l’esercizio di una funzione all’interno della comunità. E di fronte a questa comunità non si poteva perdere la faccia. Non abbiamo difficoltà a comprendere come il piano di vendetta di una moglie tradita abbia raggiunto in pieno lo scopo prefisso di distruggere questo uomo, questo padre, questo cittadino.
Oggi che il maschio adulto avverte il rischio che la propria moglie, più libera nei pensieri e nei comportamenti, possa decidere di vivere insieme ai figli ma non più con lui, i ruoli si invertono rispetto al mito greco. Oggi uccide anche il maschio. Ma la sostanza è la stessa: l’orgoglio ferito di fronte al mondo che osserva; un odio implacabile che non sente pietà per gli innocenti; lo sfruttamento dei figli per il proprio egoistico bene; il coinvolgimento di quanti più possibile nella vendetta; il sangue innocente versato.
Lo hanno arrestato questo padre assassino, a differenza di Medea. Ma il problema non è ancora risolto: altre madri e altri padri potranno essere preda di quella parte di pensiero che è nelle zone buie della mente umana.
Zone di cui bisogna avere consapevolezza, di cui dovremmo avere una maggiore conoscenza, prima che affiorino quando il sogno di una famiglia felice si disgrega. Dovremmo stare più attenti a non prendere per favolette le vicende tramandate dai nostri antenati. I quali già nei millenni passati hanno dato voce al lato oscuro della mente umana. Dovremmo studiarle, queste storie, nei luoghi giusti della scuola e della cultura in genere; capirne il valore di ammonimento, prima che questo archetipo, questo stampo primitivo della mente, prenda il sopravvento sulla ragione. I casi si succedono purtroppo. Ma anche se ce ne fosse solo uno, sarebbe già tempo di affrontarlo non come fatto di cronaca ma come possibilità da esorcizzare.
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