Foggia/Napoli, 29.12.2021 – Nasce dal dolore il proposito di Valentina Abruzzeso, nata nel foggiano: dare amore e una luce di speranza ai ragazzi con sindrome di Down attraverso la “Fondazione Paolo Tortora e Valentina Tortora Ets”.
Costituita a Napoli, dove Valentina vive da qualche anno ed è conosciuta come la signora Tortora, la fondazione è nata a seguito della dipartita del suo amato marito Paolo Tortora, avvenuta il 5 settembre scorso.
Nella sfortuna di aver perso il suo compagno di vita, la persona a lei più cara, Valentina ha colto l’occasione di “essere fortunata” nel poter valorizzare tutto quello che le ha lasciato suo marito, “compresi gli insegnamenti. E sarei felice se riuscissi a trasferirli agli altri”.
Valentina Abruzzeso racconta, così, la sua vicenda e il suo progetto, a Statoquotidiano.
Paolo Tortora, noto e stimato imprenditore campano, aveva affidato la gestione della sua azienda, “Ristosan & Valesan”, alla sua giovane moglie, già quando era ancora in vita, chiedendole di dare un tocco di innovazione a tale attività.
“Così, io gli proposi di creare una scuola di formazione. Lo scorso 5 giugno presentammo il progetto a TV Luna, una rete campana, e il 4 agosto avremmo dovuto fare l’inaugurazione”.
Cosa è successo, invece?
“Il 3 agosto Paolo è risultato positivo al COVID, al rientro da un viaggio di lavoro all’estero. L’inaugurazione, allora, fu rimandata a settembre. Ma il 5 settembre mio marito è venuto a mancare.
Noi due eravamo molto legati ed io mi sono detta che, dal dolore provocato dalla sua perdita, dovevo trarre e accendere una luce in qualche modo. Così ho pensato di trasformare la Scuola di Formazione in una Fondazione a scopo benefico nella quale far confluire tutti i progetti di mio marito”.
Qual è l’attività precipua della Scuola di formazione?
“Preparare i ragazzi con sindrome di Down nell’ambito della ristorazione. L’azienda di mio marito si occupa di ristorazione sanitaria e continueremo a praticare quello che Paolo ha fatto per 42 anni, ossia catering e banqueting per eventi collettivi quali, per esempio, matrimoni, convegni.
Ai ragazzi, dunque, intendiamo illustrare le regole della cucina passando dalla formazione teorica a quella pratica”.
In che modo?
“Prima di tutto li formiamo sulle procedure HACCP, acronimo inglese che sta per Hazard Analysis and Critical Control Points. In altre parole, li formiamo su sistemi fondati sulla prevenzione del rischio biologico mirando a garantire la salubrità di tutti gli alimenti che vengono utilizzati nella preparazione dei pasti, ancor prima che diventino prodotto finito”.
In cosa consiste il suo impegno all’interno della fondazione?
“Mi sono data degli obiettivi. Primo fra tutti, prendermi cura dei ragazzi down che le loro famiglie hanno voluto affidarci. Tra 3 mesi, li porteremo in varie aziende a fare esperienza. Cominceranno intanto con uno stage nella nostra azienda, dove loro non solo sentiranno, per così dire, il profumo del lavoro, ma, soprattutto, potranno capire che si può essere autonomi e indipendenti nonostante la loro patologia.
Sottoscriveremo per loro dei contratti formativi con corresponsione di un compenso.
Proprio in questi giorni ho organizzato per loro uno stage in un hotel disegnato e progettato da mio marito, Villa Oliviero.
Tutto questo rappresenta per i ragazzi anche un’ottima opportunità per staccarsi dalla loro famiglia”.
Vorrebbe allargare questo progetto oltre i confini della Campania?
“Magari. Mi piacerebbe creare contatti con la mia terra di origine, la Capitanata, verso la quale conservo un retaggio di affetto immenso”.
Ha già avviato delle azioni in tal senso?
“Non ancora. Ma ci conto. Mi piacerebbe essere contattata per uno scambio formativo”.
Come donna, come vive questa esperienza?
“Credo che la mia esperienza di vita e di lavoro possa assumere un significato per ogni essere umano, non solo per le donne.
Spesso ognuno di noi si aggrappa a cose futili senza pensare che potrebbe fare di più per sé e per gli altri.
Mi capita di riflettere sulla mia storia e considero che sono stata fortunata. Ho incontrato mio marito, ho avuto un matrimonio principesco, ad Anacapri. Ero la moglie dell’imprenditore campano più stimato. Non mi mancava niente.
Poi all’improvviso mi è crollato il mondo addosso.
E questo cosa può significare? A quale considerazione mi ha portato? A pensare che bisogna condividere quello che si ha, metterlo a disposizione delle persone meno fortunate, perché alla fine quello che resta sono i legami, quello che si lascia agli altri, i ricordi che lasciamo o che ci lasciano”.
Quale messaggio sente di trasmettere con la sua esperienza?
“Bastano piccoli gesti per cambiare il mondo. Il mondo è uno solo, eppure è diviso in tante realtà, dalle meno belle a quelle più belle.
Come diceva madre Teresa di Calcutta, tante gocce possono formare un oceano. Quindi, se ognuno di noi desse il proprio contributo per valorizzare, nel proprio piccolo, il proprio contesto, potrebbe cambiarlo, il mondo.
In questo momento storico, abbiamo tutti bisogno di tornare a pensare che, al di là dei diritti che rivendichiamo, vi sono dei doveri verso se stessi e verso il prossimo. E questo andrebbe detto in particolare ai giovani”.
Come un libro sospeso ancora tutto da scrivere, Valentina Abruzzeso ha aperto le sue pagine per raccontare la parte iniziale della sua storia.
Il focus, in ogni sua attività, resterà rivolto all’importanza del ruolo sociale e del valore etico da dare ai suoi progetti, “tanti ancora. E sono sicura che li realizzerò perché mi sono circondata di persone che hanno sposato con passione l’iniziativa della Fondazione ed anche perché sono contenta di avere intorno a me questi ragazzi, che sono fantastici, e le loro famiglie che si fidano ciecamente di me”.
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