Riccia di mare (VIII) – Roma, Firenze, Pisa: not a conventional Grand Tour
- Tra ‘700 e ‘800 i “giovin signori” europei avevano un solo modo per conoscere e capire il mondo: partire per il Grand Tour.
Accompagnati da un mentore, i futuri governanti, artisti e scrittori partivano alla scoperta della cultura del loro continente per poter ammirare le opere d’arte dei secoli passati, i reperti dell’antichità o per entrare in contatto con i grandi intellettuali.
Infine, dal Grand Tour deriva il termine moderno “turismo”: un modo di viaggiare caratterizzato dal desiderio dei viaggatori di conoscere cose nuove e scambiarsi opinioni sulle loro esperienze.
Come trascorrere, dunque, qualche meritato giorno di ferie?
Mostre d’arte, musei, eventi…le proposte tra cui scegliere erano tante. Dopo un’accurata selezione, mancava solo l’ultimo ingrediente: la giusta compagnia. Qualche breve messaggio ad un paio di cari amici e la comitiva è formata. A sorpresa, si è aggiunto anche un compagno di viaggio decisamente eccentrico. Potevamo dirgli di no?
Prima tappa: Roma. In solitaria, per scelta.
Una splendida giornata di sole, una colazione con vista e poi una tranquilla passeggiata fino al Parco del Colle Oppio.
Se non avete mai visto la Domus Aurea, vi consiglio di andarci.
Tra i colli Oppio, Palatino e Celio si estende la maestosa villa urbana, voluta dall’imperatore Nerone (sì, proprio quello che diede “foco a mezza Roma”), celebre per le sontuose decorazioni a stucchi, pitture, marmi e rivestimenti in oro e pietre preziose. Dopo la sua morte, i lussuosi saloni vennero privati di rivestimenti, sculture e riempiti di terra fino alle volte per essere utilizzati come costruzioni per altri edifici.
Gli ambienti interrati rimasero sconosciuti fino al Rinascimento. In quel periodo, avvennero ritrovamenti fortuiti e artisti appassionati di antichità come Pinturicchio, Ghirlandaio, Raffaello iniziarono a calarsi dall’alto in quelle “grotte sotterranee”, per copiare i motivi decorativi che esse conservavano e che, proprio dalla loro collocazione, presero il nome di “grottesche”.
A questo tema è dedicata la mostra immersiva Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche.
Dopo aver percorso la passerella, progettata dall’architetto Stefano Boeri, si arriva nella Sala Ottagona e all’interno degli spazi ci si perde tra installazioni multimediali ed interattive.
La volta è percorsa dalle costellazioni dello zodiaco intervallate dal fluttuare di una pioggia di petali di rose, come Svetonio racconta avvenisse durante i banchetti dell’imperatore.
Le pareti si animano con il calore del corpo: avvicinandosi si attiva la proiezione di animali fantastici, arpie, strumenti musicali, vasi, tutti motivi decorativi scoperti dagli artisti del ‘500.
Un audio-racconto accompagna la vista dell’imponente gruppo scultoreo del Laocoonte, scoperto nel 1506 proprio nel palazzo neroniano.
Un pannello circolare, dotato di touch screen, raccoglie le grottesche che hanno affascinato gli artisti del ‘900: facendo roteare le sezioni e selezionando i diversi temi, si può giocare a creare la propria onirica grottesca.
Seconda tappa: Firenze. Parto da Roma con l’amico psichiatra (tutti dovremmo averne uno!).
Arrivati in centro, dopo un giro sulla giostra con i cavalli in Piazza delle Repubblica e una passeggiata a Ponte Vecchio, giungiamo a Santo Stefano al Ponte. La chiesa, ribattezzata la Cattedrale dell’Immagine, ospita la mostra immersiva Inside Dalì: un viaggio nell’immaginario eccentrico ed onirico del più grande esponente del Surrealismo.
La grande navata unica è al buio, ci sediamo su una panca, parte una musica dalle atmosfere sognanti, fluide, vagamente psichedeliche e tutto intorno a noi si anima di luci, forme e colori.
I più importanti capolavori di Salvador Dalì si scompongono davanti ai nostri occhi estasiati: corpi femminili sinuosi, animali, paesaggi popolati da strane creature, orologi liquefatti, teschi.
Le architetture interne della chiesa rendono ancor più astratta e disarticolata la proiezione delle immagini e sembra davvero di essere in un sogno.
Una tenda bianca al centro della navata, infine, ci conduce in una stanza piena di specchi: in un attimo i nostri corpi e i nostri sguardi sono proiettati all’infinito insieme ai personaggi creati dal maestro Dalì.
Ci concediamo una lunga pausa al Caffè Rivoire, in Piazza della Signoria, per rivedere il programma del giorno dopo: ci raggiungeranno un’amica architetto e il marketing strategist più pazzo del Mugello.
Appuntamento all’ingresso di Palazzo Strozzi.
La mostra Shine dell’artista statunitense Jeff Koons non è stata risparmiata dalla critica che l’ha definita un’amenità, un’ostentazione di opulenza e vacuità allo stesso tempo.
Koons è uno degli artisti più ricchi del mondo, icona dello stile neo-pop, che realizza opere dallo spiccato gusto kitsch per ironizzare sulla tendenza al consumismo dell’american way of life.
Dunque, l’unico approccio valido per godersi una mostra sul tema della “luccicanza” è solo ed esclusivamente quello ludico. Tutto il resto è noia.
È stato un puro divertimento vagare tra i saloni espositivi, giocare a specchiarsi sulle superfici di acciaio lucenti e colorate, ammirare le forme tondeggianti di sculture che ricordano personaggi vagamente disneyani e fare foto nelle pose più assurde o cogliendo i dettagli più ambigui.
Infine, non potevamo rinunciare alla proposta di una toccata e fuga a Pisa per la mostra antologica di Keith Haring a Palazzo Blu.
L’artista statunitense, universalmente riconosciuto tra i padri della street-art, ha realizzato proprio nella città della torre pendente il suo ultimo murale intitolato “Tuttomondo”.
La ricca selezione di opere è accompagnata da scatti dell’artista mentre realizza i suoi lavori e da sue iconiche citazioni.
“La mia speranza è che un giorno, i ragazzini che passano il loro tempo per strada si abituino ad essere circondati dall’arte e che possano sentirsi a loro agio se vanno in un museo”, la mia preferita.
Quando si è in buona compagnia, immersi nella bellezza e un pizzico di follia accomuna delle personalità decisamente eccentriche, il tempo scorre veloce.
Ci salutiamo al tramonto, con la promessa di rivederci magari in primavera, in Mugello, per organizzare un evento fuori dall’ordinario: le premesse ci sono tutte.
Io e Doc torniamo a Firenze per concederci l’ultimo lusso del week end: omaggiare una delle più famose case dell’alta moda che quest’anno compie 100 anni dalla fondazione.
Gucci è un’istituzione nel capoluogo toscano, il recente film di successo House of Gucci ne ripercorre la travagliata e scandalosa saga e il Museo dedicato alla maison, si affaccia prepotentemente su Piazza della Signoria.
Al suo interno, un itinerario espositivo ripercorre tutte le collezioni realizzate nei decenni, racchiudendole in sale tematiche. In ogni sala, il visitatore ha la possibilità di immergersi nell’atmosfera proposta all’interno di un ambiente dedicato: una galleria di specchi, una stanza delle meraviglie, il vagone di un treno, un divano immerso nella campagna, una toilette pubblica e addirittura una pista per ballare musica anni ’70.
L’anima un po’ dandy, un po’ viveur mia e di Doc prende il sopravvento e senza ripensamenti, ci lasciamo tentare dallo sfarzo Gucci, il più irriverente e conturbante della moda italiana: un’esperienza imperdibile!
A cura di Eleonora Zaccaria