Fabio Trimigno. Viaggio alla ricerca del centro

Stato Donna, 24 dicembre 2021. Sabato 18 dicembre 2021. Dormo saporitamente dalle quindici alle diciotto. Insolitamente riposata e appagata dal lungo ristoro, mi dirigo verso il teatro giungendovi puntuale: “Violino per un anno”, sipario ore 9:00, è lo spettacolo che mi attende, prenotazione in seconda fila posto 6 della fila B, vicinissimo al palcoscenico, solo leggermente spostato a destra. Ore 9:00 in punto sono all’ingresso, verificano il green pass, esibisco quello cartaceo, il cellulare a casa di mia madre, dimenticato.

Raggiungo il mio posto, mi accomodo e osservo. Sul palcoscenico fanno già bella mostra di sé un violino, un espositore con uno schieramento di chiavi inglesi, un triangolo, due tamburi, una botte di ferro, un martello, uno sgabello: parlano di un artigiano e di un musicista o forse di più artisti.

Compare il presentatore, annuncia lo spettacolo, ci invita a spegnere i cellulari per godere appieno dell’esibizione, ci suggerisce, ma tanto il mio è a casa di mia madre. Entra l’attore, l’artista, il narratore, Fabio.

fotogallery Ercole Capuano

Lo conosco già, tanto tempo fa ho visto qualche altra sua esibizione ma non ricordo quasi nulla, so poco della sua vita, so che si chiama Fabio e fa l’attore. Eccolo, è entrato, si è seduto sullo sgabello, ha guardato verso il pubblico per qualche secondo, ha guardato anche me e mi ha visto, poi ha iniziato a raccontare senza dire.

Sì, perché ha fatto parlare gli utensili del babbo fabbro, gli odori ricreati con parole e gesti parlanti, addirittura i sapori, come se noi tutti potessimo sentirli col nostro olfatto e assaggiarli. Ha raccontato a ciascuno di noi di ognuno di noi, di quelle gabbie che controllano a volte i nostri talenti, li incasellano in un ordine imposto, non aprono le porte alla loro libera espressione. E se una tale forzatura non lasciasse riconoscere la vocazione propria? E se ci si ritrovasse in età adulta e ci si sentisse decentrati o, peggio ancora, ancora ingabbiati, contratti entro schemi rigidi imposti dall’esterno, o dall’interno?

Il racconto di Fabio continua, una voce dentro inizia a bisbigliare, parla di me quando ero ragazza, dei miei fratelli, di mio padre, di mia madre, e si intreccia con la vita di Fabio, e trova dei parallelismi, dei punti di incontro.

Comprendo Fabio, il suo bisogno di elaborare il suo vissuto, la sua arte al servizio del suo bisogno. Mi chiedo allora quale sia la mia arte. Forse sono vicina alla scoperta, la mia vocazione sta per incontrare il suo talento? Fabio mette in scena l’austerità, la rigidità, il “tutto d’un pezzo” contro cui ha dovuto lottare per difendere la sua essenza, la sua arte, il suo fiorire interiore.

I turbamenti dell’animo, messi in scena mediante il ritmo incalzante dei tamburi, mi scuotono l’animo, uno tsunami nella mia fragile interiorità. E infine il violino, suadenti note che quietano e conducono con tenerezza al sereno vivere e sentire, suonano i nodi che si sciolgono, le corazze che si distruggono, la sfibrante battaglia, vinta.

A cura di Vulcania, 24 dicembre 2021

fotogallery Ercole Capuano

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