La crisi penalizza i contratti alle donne, parità intesa come conciliazione

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Gabriella Marigo al lavoro nell'officina di famiglia, Milano, 11 Marzo 2021. Dalle comunicazioni obbigatorie del ministero del Lavoro a gennaio risultano "oltre 100 mila posizioni lavorative in meno occupate da donne rispetto a quelle occupate da uomini". E' uno dei dati evidenziati dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, in audizione alla commissione Lavoro del Senato sulle linee programmatiche del dicastero. Nel corso del 2020, sottolinea, "sono andati accrescendosi anche i differenziali di genere nei tassi di attività, sostanzialmente annullando i progressi fatti registrare nei tre anni precedenti. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

StatoDonna, 22 dicembre 2021. Il “Gender policies report” redatto da Inapp (Istituto di analisi delle politiche pubbliche) in attuazione del piano nazionale delle politiche attive per l’occupazione, fa riferimento al Report 2021 sull’equità di genere, pubblicato a marzo dalla Commissione europea. Si evidenzia come la pandemia abbia ampliato le disuguaglianze di genere in tutte le aree di vita considerate e aggravato contesti e condizioni già caratterizzati da ampi gap e rallentato il già lento percorso verso la parità.

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I dati Inps tratti dall’Osservatorio sul precariato danno una panoramica sulla c.d. “ripresa occupazionale”. Da una lettura dei dati sui nuovi contratti attivati nel primo semestre del 2021, è possibile avviare una serie di considerazioni su come, ancora una volta. “In una fase successiva ad una crisi, la componente femminile del mercato del lavoro paghi un prezzo più alto rispetto a quella maschile. Quello che si delinea sembra essere un contesto in cui le criticità strutturali del mercato del lavoro per genere e età non solo non vengono superate ma si ampliano, soprattutto a causa dell’aumento dell’incidenza della precarietà occupazionale e del ruolo crescente del part time involontario. Il taglio dei costi tramite la riduzione delle ore lavorate è indicativo di un approccio prudenziale da parte delle imprese e, al contempo, rappresenta un alert rispetto al rischio una ripresa dell’occupazione non strutturale, caratterizzata da un aumento della povertà lavorativa e dall’ampliamento di gap tra uomini e donne”.

Fra i nuovi contratti attivati c’è una maggioranza di uomini mentre alle donne sembra spettare il primato tra le forme contrattuali atipiche e discontinue.

L’analisi dei dati mostra un peso rilevante, tra le nuove assunzioni, del part time involontario, vale a dire una forma di lavoro a tempo parziale non fondata sulla volontarietà del lavoratore o della lavoratrice, ma proposto come condizione contrattuale di accesso al lavoro. Il dato risulta fortemente femminilizzato soprattutto per le classi di età 30-50 e over 50 che corrispondono alle fasi della vita in cui le esigenze di cura, rispettivamente rivolte ai figli e ai genitori anziani, rendono le donne le protagoniste assolute della sandwich generation.

In tale contesto, già caratterizzato da forti criticità, l’irruzione della pandemia ha determinato un vero e proprio Baby bust, vale a dire un drastico calo delle nascite le cui ragioni d’origine vanno individuate nell’incertezza e instabilità lavorativa ed economica, nell’assenza di politiche di work life balance efficaci, da bassi tassi di copertura dei servizi di cura e investimenti sui servizi di fecondazione medicalmente assistita. Chiude la trattazione una rassegna delle politiche a sostegno delle famiglie varate di recente in Italia a partire dal Family act, che mira ad evidenziare le caratteristiche potenzialmente innovative della policy, soprattutto sul versante del potenziamento dei servizi offerti dai territori.

L’integrazione della parità di genere nel PNRR italiano rappresenta il focus del quinto capitolo, che chiude la prima parte del report relativa ad alcune key issues importanti in ottica di genere. “Il contributo individua ed analizza il processo di costruzione del Piano, evidenziando come la questione della parità di genere sia stata inizialmente integrata come una missione specifica ma relegata all’ambito delle politiche sociali e di sostegno alla famiglia. In tal senso, essa è stata tradizionalmente trattata, seguendo la logica dell’intervento dedicato senza porre al tema dell’occupazione femminile l’enfasi necessaria”.

Nelle versioni successive il tema, seguendo la logica del gender mainstreaming, è stato inserito quale una delle tre priorità trasversali perseguibili direttamente o indirettamente in tutte le sei missioni del Piano. La questione dell’occupazione femminile viene considerata nelle stime degli effetti previsti dell’implementazione del Piano. Inoltre, viene inserita una quota occupazionale tra le specifiche clausole di condizionalità volte all’assunzione di giovani e donne. Nel dettaglio la quota rappresenta un requisito obbligatorio per l’esecuzione dei progetti.

“Parallelo all’avvio dei progetti andrà attivato un monitoraggio, che al termine del periodo di attività possa fornire informazioni sulla permanenza in attività dei contratti stipulati pro quota per il periodo contrattuale relativo, fatte salve anche le necessarie competenze di vigilanza dell’Ispettorato del lavoro”.

Si affronta il tema delle relazioni industriali in prospettiva di genere, approfondendo ambiti di intervento rispetto ai quali il sindacato, nei diversi livelli, opera come agente negoziale. Le organizzazioni sindacali operando sia sul livello nazionale che territoriale (aziendale) hanno facoltà di agire, non solo per affermare principi e sostenere azioni anti-discriminatorie ma possono intervenire, adottando una prospettiva di genere, attraverso la contrattazione in ambiti direttamente correlati al mercato del lavoro o all’ambiente di lavoro.

Sebbene la nozione di contrattazione di genere sia stata prevalentemente interpretata, nel nostro Paese, nella maniera più classica, facendo della tematica della conciliazione vita/lavoro un asse portante della propria azione sul tema, vi sono ulteriori ambiti di intervento sui quali le parti sociali possono esercitare un ruolo strategico orientato al superamento delle disuguaglianze di genere.

Ci si riferisce, ad esempio, alla materia retributiva per il ruolo esercitato della contrattazione di secondo livello nel negoziare la parte di retribuzione variabile, cioè gli incrementi retributivi correlati alla produttività, dove l’indice di calcolo utilizzato segue un criterio “gender blind” e determina solitamente esiti diversi e iniqui per le donne.

Si pensi, solo a titolo esemplificativo, al criterio quantitativo della presenza per valutare l’accesso alle indennità di performance oppure all’esclusione dei part-timer dalla platea dei soggetti eleggibili.

In coerenza con quanto detto, gli approfondimenti proposti in questa seconda parte del report partono da un’analisi dell’incentivo fiscale al premio di risultato e degli indicatori che ne consentono la misurazione di performance. “I dati disponibili mostrano che uno tra gli indicatori maggiormente utilizzati riguarda la riduzione dell’assenteismo, ancora una volta a conferma di un’organizzazione del lavoro fortemente ancorata a criteri spazio-temporali per misurare il valore del lavoro.Tale indicatore assume una valenza di genere per la sua portata in termini di gender gap, in particolare riferita ai differenziali retributivi, in quanto le donne tendono ad essere presenti nel lavoro in modo più discontinuo a causa del lavoro di cura. Le autrici del contributo inoltre segnalano come la possibilità offerta dalla recente legislazione, che prevede la possibilità di convertire il premio di risultato in misure di welfare, possa condurre alla prevalente trasformazione, per le donne, del premio di risultato in strumenti di work life balance in sostituzione di una parte di salario, reiterando dinamiche che considerano il lavoro di cura quale prerogativa principalmente declinata al femminile, con conseguenze sulla condizione economica”.

La fotografia delle attivazioni contrattuali del I semestre 2021

I nuovi contratti attivati nel semestre sono 3.322.634, di cui 2.006.617 di uomini e 1.316.017 di donne – ossia il 39,6% del totale. La crescita è chiaramente trainata dai contratti a termine e discontinui sia per uomini che per donne, ma con una differenza. I contratti delle donne, numericamente inferiori a quelli maschili presentano al loro interno un’incidenza comparativamente maggiore della precarietà contrattuale. Contratti, quindi, meno numerosi ma più fragili. Due aspetti in particolare vanno evidenziati. Confrontando uomini e donne per la stessa tipologia contrattuale emerge che le assunzioni di donne (1.316.017 in totale pari al 39,6% del totale) sono in valore assoluto sempre inferiori a quelle degli uomini in tutte le tipologie contrattuali, tranne nel caso del lavoro intermittente in cui rappresentano il 51,5% delle attivazioni.

Lo scenario regionale delle attivazioni

Le attivazioni su base regionale risentono di due fattori di contesto quali il modello di sviluppo e le condizioni socio economiche territoriale e la relativa struttura del mercato del lavoro locale in ottica di genere. Ferme restando queste due variabili esogene, nel I semestre 2021 si può registrare una diversa reattività alla ripresa delle regioni, in termini di attivazioni contrattuali totali e per genere. Si tratta ovviamente di un dato semestrale che può trovare correzione di tendenza nel semestre successivo, tuttavia, sulla base della
fotografia attuale possono evidenziarsi quattro gruppi di regioni.
Primo gruppo: oltre le 100.000 attivazioni a donne nel semestre (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto, in cui la più alta incidenza di tali contratti a donne sul totale si registra in Emilia Romagna (43,1%).
Secondo gruppo: dalle 50.000 alle 100.000 attivazioni per donne, comprende Toscana, Piemonte, Campania, Puglia e Sicilia. L’incidenza maggiore sul totale è in Toscana 44,3%.
Terzo gruppo: dalle 15.000 alle 99.999 attivazioni per donne, comprende Trentino A. Adige, Marche, Sardegna, Liguria, Abruzzo, Friuli, Calabria e Umbria. L’incidenza percentuale maggiore si registra in Trentino (46,5%) ma sono su quote analoghe Marche, Liguria, Friuli e Umbria (42%).
Quarto gruppo: al di sotto delle 10.000 attivazioni, include Basilicata, Valle d’Aosta e Molise, con l’incidenza maggiore in Valle d’Aosta col 46,2.

Il ruolo dei settori economici

L’alta percentuale di contratti a termine e discontinui nel I semestre presenta una relazione con i settori economici di impiego. Da un lato, riflette certamente l’elevata incidenza dei settori che tradizionalmente operano attraverso la discontinuità occupazionale e la stagionalità (es: servizi, commercio, turismo, alberghi).

Dall’altra, tuttavia, la presenza di elevate percentuali di contratti precari anche negli altri settori a diversa configurazione produttiva, evidenzia l’atteggiamento prudenziale delle imprese in questa fase, la richiesta di flessibilità sul breve medio termine, oltreché la strategia di riduzione dei costi del lavoro. Queste considerazioni si muovono all’interno di una struttura del mercato del lavoro fortemente segregata per genere, sia per settori che per professioni, all’interno della quale si sono inserite le dinamiche delle nuove assunzioni, senza alterare il quadro noto tra settori male o female intensive.