Il cinema delle donne: Chloé, Julia, Audrey (e non solo)

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Le Parisien Mostra de Venise la Française Audrey Diwan remporte le Lion d'Or pour «L'événement», un drame sur l'avortement - Le Parisien

Le Parisien Mostra de Venise la Française Audrey Diwan remporte le Lion d'Or pour «L'événement», un drame sur l'avortement - Le Parisien

StatoDonna.it, 22 dicembre 2021.  Tra i grandi eventi per cui ricorderemo il 2021 sicuramente c’è il grande successo delle donne ai festival cinematografici.

L’idea per cui la regia sia un mestiere da uomini non si addice più alla contemporaneità: gli Oscar 2021, il Festival di Cannes e la Mostra internazionale del cinema di Venezia hanno suggellato una realtà ormai ampiamente consolidata con il grande successo rispettivamente di Nomadland di Chloé Zhao, Titane di Julia Ducournau e La scelta di Anne – L’evénément di Audrey Diwan.

Le tre registe – la prima cinese e le altre due francesi – hanno rimarcato una nuova e importante consapevolezza: le autrici non sono più eccezioni, le firme femminili non sono relegate solo a prodotti femminili.

Non che questo legame tra il sesso delle registe e il target di riferimento sia mai stato una realtà: basta citare l’appena scomparsa Lina Wertmuller per rendersi conto che il cinema non è mai stato privo di firme femminili eccellenti.

 

D’altra parte, a causa di un sistema fallocentrico ai suoi vertici e della concezione del femminile come oggetto e non come soggetto della creazione artistica, il panorama del cinema commerciale ha sempre guardato con sospetto alle donne dietro la macchina da presa. Finalmente, anche grazie alle rivendicazioni del movimento MeToo, la prospettiva pare essersi ribaltata, appannaggio della possibilità del mondo femminile di riappropriarsi di quegli spazi sul grande schermo che gli sono sempre stati negati.

IMMAGINE IN ALLEGATO AL TESTO (st)
IMMAGINE IN ALLEGATO AL TESTO (st)

Chloé Zhao ha fatto incetta di Oscar con il suo Nomadland, un film che circuisce i temi più caldi del tardo-capitalismo affondando le proprie unghie nelle periferie americane, lì dove il sogno americano ha fallito. L’attrice protagonista Frances McDormand, volto appassito e prosciugato dal sistematico rigetto dei più deboli, dei più poveri, dei più della società americana. Il suo volto è scolpito da luci crepuscolari che rimandano al cinema degli esordi di Terrence Malick, regista che, a giudicare anche dai lavori precedenti di Chloe Zhao, sembra essere caro all’autrice con il suo emblematico utilizzo delle luci naturali.

Alla regista cinese, sempre nel 2021, è stato affidato anche il compito di dirigere The Eternals, una delle ultime fatiche in casa Marvel e caso mediatico, sia per la copiosa affluenza di pubblico che i supereroi in calza maglia trascinano in sala sia per la reazione polarizzata della critica al modo in cui la poetica della Zhao si è adattata al franchising più remunerativo – e testosteronico – del panorama cinematografico contemporaneo.

A sconvolgere il Festival di Cannes – e a conquistare la Palma d’Oro – ci ha pensato invece Julia Ducournau, con il suo Titane, un body horror sui generis che ha in David Cronenberg e Shinya Tsukamoto i i suoi più blasonati maestri.

Il film ha come protagonista una ragazza con la malsana perversione delle auto e che viene messa incinta da… una Cadillac.

Le premesse sono già sopra le righe, senza contare che la ragazza ha la malsana passione di uccidere chiunque si metta in mezzo ai suoi piani.

Carne e metallo, olio d’auto e sangue, la fragilità dei traumi che si ripercuote a più riprese nel corso dell’esistenza sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano il lavoro della giovane regista francese; Titane è un film che non ha paura di ridiscutere il concetto di ruolo di genere e quanto questo possa essere fluido, le debolezze degli ambienti maschili, il concetto stesso di genitorialità.

Anche l’opera prima di Julia Ducournau non era stata da meno: Raw, film del 2016, è una storia di crescita umana ed emotiva che passa attraverso il cannibalismo.

La voglia di provocare dell’autrice francese è coadiuvata da una perizia tecnica notevole e sancisce appena l’inizio di quello che sarà il suo interessante – e divisivo – percorso autoriale.

La scelta di Anne di Audrey Diwan ha vinto invece Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia. Allo stesso festival anche Jane Campion ha trionfato per l’elegantissima e fulgida regia de Il potere del cane.

La scelta di Anne segue il percorso della protagonista il cui unico desiderio è soltanto abortire un bambino non voluto, continuare i suoi studi all’università e proseguire con la giovane vita. Siamo in Francia negli anni ’60: la sua scelta incontrerà moltissimi ostacoli che le faranno rischiare il carcere e anche la vita. Il film non si esime dal raccontare anche i riverberi più scabrosi di questo percorso, non solo socialmente, ma anche fisicamente. Anne, interpretata da una giovanissima e piena di talento Anamaria Vartolomei, non ha mai alcun ripensamento, scardinando l’idea per cui nella vita di una donna la scelta di abortire sia sempre complessa. È questo il vero atto di ribellione di un film formalmente e stilisticamente essenziale: le scelte delle donne a volte non trascinano con sé alcun dilemma etico personale, è semplicemente la società a voler per forza affibbiare un’arbitraria morale.

 

Emblematici dell’annata cinematografica a firma femminile sono stati anche First Cow di Kelly Reichardt, ormai nome di spicco del panorama americano indipendente, e l’intimo Petite Maman di Céline Sciamma, regista (ancora una volta) francese che ha incantato il mondo solo un paio d’anni fa con il superbo Il ritratto della giovane infame.

 

Per quanto non abbiano caratterizzato quest’anno particolare e complesso di ripresa umana, economica e anche artistica, anche in Italia possiamo vantare due nomi femminili di spicco: Susanna Nicchiarelli e Alice Rohrwacher. Quest’ultima in particolare, come è stato annunciato persino dal grande Bong Joon-ho – regista di Parasite- è una delle promesse più brillanti tra i giovani registi internazionali.

La regia non è solo cosa da uomini, non lo è mai stato.

I premi vinti quest’anno sono soltanto la punta dell’iceberg di un lungo percorso portato avanti nei decenni da nomi come Chantal Akerman, Liliana Cavani, Věra Chytilová, Márta Mészáros e molte altre. Nomi di donne talentuosissime conosciute solo agli addetti ai lavori e agli appassionati ma di cui ci auguriamo una possibilità riscoperta.

A cura di Lorenza Guerra