Ognuno è infelice a modo suo, un giorno lui trovò il coraggio di dirglielo
Stato Donna, 19 dicembre 2021. Alla fine ha trovato il coraggio di dirglielo. Ci ha pensato continuamente, per anni, mesi, giorni. E per notti, facendo finta di dormire, quando lei si stendeva accanto a lui, tardi, con un pigiama vecchio, largo, che aveva preso il posto di quei nulla di seta che usava prima.
Quando li indossava per il piacere di sentirsi dire “Sei bella”. Che ti ci senti davvero bella se te lo dice qualcuno, e lui in effetti, non glielo diceva più da tanto tempo. Perché da tanto tempo non la vedeva più bella. E mentre lei stava lì stesa a leggere, lui con gli occhi chiusi ripercorreva gli ultimi dodici anni della loro vita. Dal principio. Che poi lui non ha neanche capito quando è iniziata la fine. E si può dire poi che cisia un momento preciso? E si può dire l’inizio della fine?
Mi chiedeva queste cose, e molte altre. Mi raccontava di quando si erano sposati, e lui non era proprio convintissimo, ma lei aveva organizzato tutto, e quando lui prendeva tempo faceva finta di non capire. Così non era stato capace di chiederle di aspettare un po’ e si erano sposati, alla fine. Una chiesetta bellissima, in campagna, dove erano entrati solo loro, i genitori, e i fratelli che per fortuna erano anche i testimoni, altrimenti avrebbero dovuto fare
senza qualcuno. E gli invitati fuori, sul sagrato ma come se fossero dentro, perché le porte spalancate su un tramonto tiepido e profumato di giugno arrivavano fino all’ultimo banco che poi era il terzo della fila.
E tutti accalcati a guardarli, così belli lei con i capelli neri e quegli zigomi alti, e lui con quel viso dolce ma lo sguardo un po’ torbido. E quando sono usciti ognuno pescava da un cartoccetto con dentro il riso e dei petali di rose, quelle piccole, antiche bianche e rosse, che era il colore preferito di lei e aveva voluto qualche rosa così anche nel bouquet. E nelle foto avevano sorrisi radiosi ed erano felici. Che poi quando rientrava la sera, e poggiava la borsa professionale sul mobile dell’ingresso, all’inizio gli faceva tenerezza quella foto dentro la cornice d’argento, ma con il passare del tempo non li riconosceva più, quei due. Li percepiva altro da loro.
Forse era successo dopo la nascita del secondo figlio. Parlavano ma non si capivano. Lei non voleva più andare a lavorare, ma non si occupava nemmeno della casa, che era troppo grande per fare da sola.Portava i bambini da sua madre e usciva con le amiche. E fumava, assai. Sentiva la disapprovazione di suo marito, sempre così perfetto e gentile con tutti e ancora di più le veniva la voglia di essere diversa da lui. E se lui diceva una cosa, di fare il contrario. Se lui, un po’ antico, affermava di non sopportare le donne che fumano in pubblico, lei cominciava a fumare. Se a lui, qui moderno, piacevano le donne indipendenti, in carriera, lei dimenticava ogni ambizione. Gli ho chiesto spesso se fosse per attirare la sua attenzione, perché ogni giorno erano un po’ più distanti e girati di spalle.
Non potevano essere loro quelli capaci di stare un mese senza parlarsi. Di mettersi a letto senza neanche guardarsi, e di alzarsi e non salutarsi. Neanche “buongiorno” quando uno usciva. E i dispetti. Le camicie non lavate o non stirate, i pranzi non preparati, i letti non rifatti, i soldi spesi senza motivo. “Ma cosa le hai fatto?” gli chiedevo.
“Niente, te lo giuro” mi rispondeva. E forse è questo che è successo, pensavo. Hai smesso di vederla, hai smesso di trovarla bella, hai smesso di ascoltarla. L’hai punita per averti voluto sposare per forza e, soprattutto, non l’hai mai stimata e non l’hai mai ritenuta alla tua altezza per cultura e ceto sociale e formazione. Le hai rimproverato di non avere un progetto ma sai bene che se lo avesse avuto, tu non avresti creduto nelle sue idee e nella sua capacità di realizzarle. Lei che è la madre dei tuoi figli ed è l’unica cosa che, alla fine, va bene.
Che non ha saputo reagire alla tua indifferenza se non con la rabbia dell’animale all’angolo. E mi ha raccontato, mille volte, ferito e mortificato, dei piatti che gli ha tirato addosso infuriata. Di tuttequelle volte in cui parlava di lui ai bambini come se non fosse presente e invece era lì, e una volta aveva detto al grande che lo difendeva “Se la pensi come lui, se sei come lui, è un problema tuo” e lo aveva fatto con un disprezzo che ancora se lo ricordano tutti. I bambini, che poi ora sono cresciuti e vedono tutto, anche quello che gli si vuole nascondere e vivere nell’ipocrisia è sicuramente peggio. Mi ha raccontato mille volte anche di quella volta che doveva accompagnare sua madre da un medico e lei si era arrabbiata perché aveva un impegno e voleva che lui tenesse i bambini. “Non può andarci con tua sorella?” Gli aveva chiesto. E quando lui aveva risposto di no, lei lo aveva gelato “Va bene, se non
torni per me è uguale”. Che anche sua madre aveva sentito, ma non gli aveva chiesto niente perché non c’era niente da chiedere. O quando aveva perso le chiavi di casa e lui le aveva dato le sue per farsi una copia. Ma lei si era dimenticata e poi era uscita con un’amica e quando lui era tornato dal lavoro, aveva aspettato un’ora in macchina che lei rientrasse. Ed era arrivata, seccata anche, e non gli aveva nemmeno detto “ciao”.
Me l’ha raccontato molte volte e sempre domandavo “Ma perché non vi separate? Che senso ha questo dolore, e questo rancore da dove arriva?” Ma ho sempre chiesto senza giudicare, perché alla fine ciascuno è infelice a modo suo e nello stesso modo vive.
“No, non lo posso fare” mi ha sempre detto, da quando ci siamo incontrati per caso ad un convegno e siamo diventati amici in una domenica pomeriggio di chiacchiere e risate. “Penso ai ragazzi e ai miei genitori”. Per questo la settimana scorsa, quando mi ha chiamata “Non ne posso più, glielo devo dire” ho capito che era pronto. Perché arriva sempre il momento in cui ci si guarda allo specchio e ci si chiede il conto.
Il momento in cui si fa ammenda dei propri errori, e si perdonano quelli degli altri, e si capisce che certe volte non è colpa di nessuno, ma per il bene di tutti è quella la cosa giusta da fare.
Il momento in cui il desiderio di tornare a vivere reclama il proprio posto, ed è più forte del senso di colpa, del dolore proprio e di quello altrui, che sarà comunque meno forte del dolore di adesso. E le ha parlato. E forse si è sbagliato, ma gli è sembrato di vedere un sollievo nei suoi occhi. Era di nuovo bella.
Simonetta Molinaro, 19 dicembre 2021