“Il Natale è la festa della deponenza”

StatoDonna.it, 14 dicembre 2021. Non molti sanno che i vangeli non si leggono partendo dall’inizio, ma dalla fine, cioè dall’evento della resurrezione, quindi dal racconto della Pasqua. Infatti, ciò che distingue quel bambino non è tanto la nascita, ma la morte. Il tipo di morte e il motivo della morte. In fondo, il modo in cui quel Gesù è nato a Betlemme è simile a quello di tutti gli altri bambini del suo tempo, di ogni tempo. Certo con qualche peripezia in più. Dovute al fatto che “per loro non c’era posto in nessun albergo del luogo” (Lc 2,7).

Ma ciò che ha trasformato quella nascita apparentemente “normale” è quanto quel bambino da adulto  ha detto e ha fatto, in parole e in gesti. E’ la fine che ha fatto a gettare una luce diversa sulla nascita che celebriamo. Perciò il Natale riceve senso dalla Pasqua. Anzi, a Natale è già compresa la futura Pasqua.

E che collegamento vi può essere tra ciò che accade alla nascita e ciò che accade a Pasqua? In primo luogo il motivo del suo stesso nascere: “Egli è qui per regnare” (Lc 1,33) dice l’Arcangelo Gabriele inviato a una fanciulla di nome Maria. Quindi a nascere sarà un “Re”. Per questo Erode è preoccupato. Non possono esserci due re a governare in un medesimo regno. Anche i re Magi cercheranno questo re, la cui stella hanno visto sorgere. Essi addirittura lo cercano per “adorarlo” (Mt 2,2). Verbo impegnativo e intrigante. I Magi: tre re sapienti e giusti, che scrutavano le stelle per decifrare il mistero della vita e della storia, e che rappresentato tutti i popoli della terra.

Ma già qui i conti non tornano, perché si tratta di un re molto strano. Del tutto particolare. Un re che “svelerà i segreti di molti cuori” e che sarà “segno di contraddizione” (Lc 2,34). Quindi, un re i cui troni sono i cuori e non i luoghi. Ma quando mai si è visto un re che governa i cuori? Eppure che grande lezione antropologica e psicologica troviamo in questi fatti!

Freud, da buon ebreo, ha quasi invidiato questa locuzione evangelica molto psicoanalitica, che certamente, per certi aspetti, ha anticipato molte sue introspezioni terapeutiche. Chi governa il cuore governa il mondo. Non per niente, la storia insegna che coloro i quali, con la scusa di “guidare” le “masse”, in fondo lo hanno fatto solo per dominarle, hanno sempre tentato di prendere possesso dei cuori delle persone, cioè a dire delle loro coscienze. Si chiama manipolazione e demagogia.

Al contrario, divenuto grande, questo Gesù, nato in una stalla sperduta e puzzolente di Betlemme, che ha avuto come trono un cumulo di paglia, si presenta come un re che governa i cuori non manipolandoli, ma liberandoli da ogni forma di sudditanza e di dipendenza, sia essa ideologica, politica, ma anche religiosa. Tant’è che un giorno in una sinagoga dirà di essere venuto a liberare i prigionieri e a togliere via ogni forma di oppressione (Cf. Lc 4,18). Regnerà nei cuori non per dominare ma per ridare a ogni uomo la regalità  –  cioè la dignità  – perduta.

Lo scienziato e filosofo francese, Blaise Pascal, diceva che dopo il peccato l’uomo è come un “roi déchu… dépossédé” (re decaduto….spodestato), cioè privato della sua dignità. Ecco: questo re-bambino viene a rimettere sulla testa di ciascuno quella corona regale che ongi uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, merita, perché come dice il salmo di gloria e di onore è stato incoronato (Sal 8).

E così il Natale andrebbe celebrata come la festa che fonda l’uguaglianza tra gli uomini al di là delle razze e delle religioni, Uguaglianza che noi europei scopriremo in parte – e con molte ipocrisie – solo con l’avvento dell’Illuminismo, anche se nel frattempo praticavamo la tratta degli schiavi.

Il vangelo inoltre dice che questo bambino fu deposto in una mangiatoia (Lc 2,7). Con la nascita di questo Gesù comincia la logica della “deponenza” e viene accantonata quella della potenza a tutti i costi,  ma anche della onnipotenza”, spesso usata per incutere paura, per assoggettare popoli interi e dominare le genti. In un tempo di governanti, assetati di potere e accecati dalla voglia di dominare, questo bambino-re si pone come alternativa ad ogni forma di potere, sia del passato che del futuro, che vuole regnare i cuori in vista del dominio dei luoghi. E il futuro di allora è il presente di oggi.

D’altronde, già sua madre lo aveva preconizzato quando disse che Dio: “Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili” (Lc 1,52). Ma la domanda è: “che fine ha fatto l’umiltà nella storia del cristianesimo e nella storia della ragione laica?” Lo sappiamo, e non è qui il caso di soffermarci. L’Umiltà è la via per fare memoria della nostra originaria umanità, del fatto cioè che siamo fatti di “terra” (hunus), di “argilla”, e quindi che siamo caratterizzati dalla “vulnerabilità”, la quale ci accomuna. Il Natale allora non è solo la festa della regalità, ma anche la festa dell’umiltà, come il grande Francesco di Assisi aveva intuito nel pensare e fare il presepe a Greccio nel 1223.

Per questo motivo, alla logica dello “sfruttamento” questo re proporrà, nella sua maturità, la logica del “servizio”. E dice che un re che governa è un re che serve. Non un re che toglie ma un re che dona. Per questo, scandalizzando tutti, un giorno si metterà il grembiule e passerà a lavare i piedi sporchi dei suoi discepoli (Gv 13,5). Che dire a tal proposito! Ecco qui un gesto rivoluzionario compiuto da un re-maestro davvero strano. Che non insegna dall’alto di una cattedra ma intorno ad un catino. Che rovescia le gerarchie del potere con le gerarchie dell’amore e dell’accoglienza.

E non con l’amore romanticheggiante, dove domina il puro sentire, ma quello interiore, spirituale, mistico, oblativo, dove non domina il “possedere”, ma il “donare” che a sua volta rende il coraggio del “patire”. Un amore spirituale e mistico che poi diventa anche amore sociale, politico, cosmico, e che consiste nel mettere l’altro al primo posto.

E quando, negli ultimi giorni, si troverà finalmente faccia a faccia davanti a un re terreno, come Pilato,  si giocherà tutto. “Dunque tu sei re?” gli chiederà il governatore della Palestina. “Si, io sono re!”, risponderà Gesù, il bambino della mangiatoia che per mestiere faceva il falegname. Pilato rimane stupito nel trovarsi davanti un re senza armi e senza eserciti. Spoglio di ogni potere. Spoglio ma libero. E così alza la posta in gioco “Non sai che ho il potere di metterti a morte?”  (Gv 19,10). Pilato scopre le carte e gioca quella della paura. D’altronde, da sempre il potere usa la morte per ricattare e soggiogare, fin quando non trova uomini liberi che sanno di avere un potere ancora più grande: la propria libertà.

Ma Gesù non si lascia abbindolare. Egli non dimentica che è venuto per “servire e non per essere servito” (Cf Mc 10,45), cioè è venuto per regnare i cuori e non i luoghi. Anch’egli ha una carta da giocare. Non quella del potere, che usa la morte per incutere paura e incatenare le coscienze, ma quella dell’amore che libera gli uomini da ogni forma di paura, anche da quella peggiore: la paura della morte. E tira fuori la questione se sia più vera la propria regalità  – tutta spoglia e disarmata – o quella di Pilato.

Ma qui Pilato, che lo aspettava al varco, gli pone la domanda cruciale e gli chiede: “Che cosa è la verità?” (Gv 18,38). A questo punto però Gesù tace. Ma come? Il rabbì di Nazareth non sa che cosa è la verità? Tace perché non sa o perché ha un’altra verità da dire e annunciare? Eppure un giorno ha detto che la verità rende liberi (Gv 8,32). E’ il momento di provarlo. E lo farà non con le parole, ma con un gesto rivoluzionario. Lo dirà dalla croce qual è la vera verità. E la verità della croce è la stessa della mangiatoia: è la verità dell’amore che dice che non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che ami (Cf Gv 15,13). Il guaio è che devi amare tutti. Anche i nemici. E qui il Natale diventa scomodo, come ebbe a dire una volta Mons. don Tonino Bello!

Ma all’amore nessuno crede. E’ difficile credere all’amore se devi cedere potere. Don Tonino Bello, parlando di Maria, diceva che “ Amare è voce del verbo morire, significa decentrarsi. Uscire da sé”. Ma ecco: Pilato vince e Gesù perde. Il re-bambino, nato nella mangiatoia, ora viene sì incoronato con una corona, ma di una corona fatta di spine. Viene spogliato delle vesti e ridicolizzato. Viene processato per ribellione perché la sua rivoluzione voleva i cuori e non i luoghi. Gesù tace la sua regalità perché egli sa che il suo regno non è di questo mondo (Gv 18,36). E’ troppo piccolo il mondo per contenere la logica del suo cambiamento: passare dall’amore per il potere al potere dell’amore.

E così si avvia verso la croce che gli ricorda la mangiatoia. Nudità lì, nudità qui. Le braccia di una madre lì, gli occhi dolorosi ma impotenti di una madre qui. Deposto lì, deposto qui. Avvolto in fasce nella stalla, avvolto in un lenzuolo qui per essere deposto in un sepolcro. La mangiatoia come il futuro sepolcro? Deponenza senza onnipotenza. Nella nascita la morte, ma anche nella morte una nuova nascita. Come il chicco di grano che porta frutto solo se è disposto a marcire.

Nascere per amore e morire per amore. E’ questo il cuore del cristianesimo. E’ che il filo rosso che lega il Natale alla Pasqua. E domani sarà mattino. Andremo al sepolcro e troveremo la tomba vuota. E ci porremo tante domande che inquietano la ragione e mettono le ali al cuore. Non ci saranno risposte facili. La verità di questo bambino-re nato in una mangiatoia è ancora una questione aperta e chiede a ciascuno non tanto di credere, ma di scegliere tra la logica della “deponenza” o quella “dell’onnipotenza”. Tra il potere che spoglia e l’amore che si spoglia. Tra l’arroganza che fa violenza e la mitezza che disarma.

E tocca a noi vivere questi due eventi del Natale  e della Pasqua come un unico grande punto di svolta, per scrivere una storia nuova e rivoluzionaria, capace di governare non tanto i luoghi, ma piuttosto i cuori, e non per dominarli ma per liberarli, per servire l’umanità che è in noi e in tutti gli altri. In quella di oggi e in quella di domani.

E, allora, buon cammino verso il Natale. La festa della deponenza!

A cura di Michele Illiceto, Manfredonia 14 dicembre 2021

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