Stato Donna, 7 dicembre 2021. Sono rimasto indignato, urtato, sbigottito e rabbioso quando ho appreso la notizia della doppia violenza sessuale, una solo tentata, ai danni di due giovani ventenni sul treno Milano-Varese di venerdì sera, 3 dicembre, e in una delle stazioni di quella linea.
Le vittime, due giovani pendolari di 21 e 22 anni, sono state aggredite da due balordi che quella sera avevano deciso di sfogare i postumi di una serata a base di alcol e droga perpetrando una fra le violenze più abiette e orripilanti. La prima vittima è stata sorpresa sul convoglio, aggredita e violentata, mentre era intenta a guardare il cellulare come fa qualunque ragazza che rientri a casa, di sera, dopo unagiornata di lavoro o in università, pensandosi al sicuro su quel convoglio che la riporta a casa.
Dopo la violenza sessuale subita, la giovane ha avuto comunque la forza di denunciare tutto al capotreno e poi alle forze dell’ordine, e il suo coraggio ha permesso di identificare, anche a mezzo di un suo riconoscimento, i due presunti stupratori, che sono stati fermati nella serata di domenica, grazie anche ad alcune segnalazioni e alle riprese delle telecamere a circuito chiuso della stazione di Venegono Inferiore, ove è stato perpetrato il secondo tentativo di violenza, ai danni della ventiduenne, riuscita, con maggior fortuna, a sottrarsi alle grinfie degli aggressori e a fuggire. Questa la cronaca. Dura, cruda.
Ma la riflessione verte su un altro punto. Ho appreso di questa ferale notizia da un post su Facebook di Vittorio Sgarbi, che faceva del sarcasmo, opinabile, sull’avere o meno gli aggressori il Green pass per poter essere identificati. La notizia solo oggi è passata sui tg, ha preso qualche articolo di spalla sui giornali web, è passata di sfuggita sulla timeline di Twitter (unico social dove partecipa la “base”), ma poco più. Due ventenni violentate, un venerdì sera, nella moderna e avveniristica Lombardia, non fanno notizia, non richiamano i “click” pubblicitari, non danno fiato agli influencer dell’ultima ora, non indignano i movimenti femministi, non smuovono le coscienze civili. Siamo forse assuefatti alla notizia di un crimine becero, inumano, degradante, violento come lo stupro?
Pochi giorni fa, al contrario, siamo stati tutti prontissimi ad aprire un processo di Norimberga su ogni bacheca, su ogni giornale o tg per una pacca sul sedere. Attenzione, questo non è un modo di sminuire la gravità di un altro tipo di reato, una molestia (anche se parte della giurisprudenza la identificherebbe pure come violenza), pur spregevole e infame, perpetrata peraltro in diretta tv. Capisco la levata di scudi, l’occasione di creare un Me too italiano. Ma al netto della ponderazione delle responsabilità di ciascuno, del non poter buttare in galera per 14 anni, come ha urlato qualcuno, il responsabile, o rendere disoccupato a vita il giornalista in studio per un’ uscita poco felice (peraltro artatamente tagliata e usata ad usum delphini), del patimento della vittima per un gesto in ogni caso umiliante e grave, da biasimare e punire, al netto di tutto, dicevo, è inammissibile, mutatis mutandis, il silenzio rispetto al fatto di cronaca più recente e certamente più grave, senza offesa per alcuna delle vittime.
I reati vanno soppesati, come le pene relative, nelle aule di Tribunale, con prove e sentenze. Ma la morale, l’anima di un paese, della gente, di un popolo, non può seguire solo l’onda emotiva dei social, non può transitare solo dagli schermi o dai server di Hong Kong; la morale, la pancia, l’indignazione, il sentimento viscerale, devono muovere attraverso cuori e coscienze. E urlare il disgusto, l’indignazione, pretendere metodi preventivi e punitivi che impediscano la commissione e l’efferatezza di certi crimini. Perché ai tornelli dello stadio c’erano le telecamere che hanno permesso di identificare il tifoso, e anche i due stupratori sono stati riconosciuti grazie alle telecamere, ma perché allora non dotare anche i vagoni dei treni di telecamere? Perché non pensare a come rendere le città più sicure per le donne?
Bisogna scegliere bene il campo in cui lottare, coi contenuti e le idee, e non con gli slogan di tendenza, per il riconoscimento dei diritti. Provocare, con le parole e i gesti, una insurrezione, fondata sui principi, e non una sommossa, fondata sui disordini, come usa distinguerle Victor Hugo ne “I miserabili”. E bisogna che tutti noi ci ricordassimo, ogni tanto, che l’anima e la nostra coscienza non alloggiano sui media, ma nel mediastino, quella cavità del nostro torace che ospita il cuore. Che talvolta batte meno forte di un dito che clicca.
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