StatoDonna, 24 novembre 2021. Il 25 Novembre si celebra la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dalle Nazioni Unite nel 1999. 25 Novembre…perché? È stata scelta ricordando l’episodio delle sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana, uccise, e non solo, per mano del dittatore Rafael Leónidas Trujillo.
Le sorelle Mirabal si stavano recando in prigione per trovare i rispettivi mariti, quando furono bloccate lungo la strada da agenti militari, portate in un luogo nascosto, stuprate e torturate con una brutalità disumana e buttate in un precipizio, facendo attenzione a riporre i cadaveri nella loro auto per simulare un incidente stradale. Purtroppo anni sono passati da questi racconti brutali, ma sono scene di ordinaria follia che emergono ancora troppo spesso nel nostro quotidiano.
Le scarpe rosse…perché? Perché il rosso rappresenta il colore del sangue, ancora troppo abbondante nella nostra società. Questa iniziativa è nata da un’idea dell’artista messicana Elina Chauvet per simboleggiare i femminicidi. Attraverso l’arte, e attraverso una immagine si vuole tenere alta l’attenzione su episodi di violenza contro le donne, madri e sorelle che sempre più spesso, lasciano dei vuoti nelle proprie famiglie. Elina Chauvet di mestiere fa l’architetto, ma trae spunto dalla sua vita privata poiché a Elina è stata portata via la sorella per mano di un marito violento. Così decide di dar voce a quel dolore denunciando la violenza contro le donne con la sua celebre installazione “Red Shoes”, raccogliendo 33 paia di scarpe col tacco rosso e simulando una marcia silenziosa.
Quando ci riferiamo alla violenza, intendiamo sia quella fisica che quella psicologica, fatta di parole, di umiliazioni e mortificazioni che portano alla demolizione della dignità personale. Noi siamo soliti pensare alla violenza come a quei comportamenti aggressivi che lasciano palesemente un danno osservabile, come lividi, cicatrici, ma esiste una violenza, quella psicologica, che lascia dei segni poco visibili ad occhio nudo ma che sono impressi nel proprio corpo e nella mente.
Ricevere costantemente offese, minacce, svalutazioni, proibizioni, controlli, limitazioni di libertà, fino al fenomeno del “Gaslighting”, una forma di manipolazione psicologica in cui l’abusante, tramite manipolazione del pensiero, arriva a instillare il dubbio nella mente della vittima sulla veridicità e sull’esistenza di un episodio violento subito. Minare l’autostima, far sentire l’altro inadeguato, incapace e inutile in questa società, far sentire quanto non si è degni di vivere questa vita, sono meccanismi che l’aggressore mette in atto per colpire la vulnerabilità della vittima.
Nella mia pratica clinica, ho ascoltato diverse volte i racconti delle vittime di violenze, e devo dire che ogni volta non è semplice rimanere lucidi. La domanda che ci poniamo in terapia è sempre la stessa: “Come è possibile che a livello razionale comprendo che è una relazione tossica ma non ne riesco a fare a meno e riesco a giustificare i suoi comportamenti aggressivi attribuendomi le colpe?”.
Il senso di colpa si presenta nel momento in cui chi subisce una violenza ripercorre nella mente la sequenza degli eventi, e inizia a mettersi in discussione rispetto ai propri comportamenti. Sorgono ipotesi come “Se non avessi usato quella parola, se non gli avessi detto nulla, se fossi stata meno incalzante”, ipotesi che chiariscono nella testa della vittima la sua colpevolezza e il fatto che si è meritata quella reazione.
Chi subisce violenza cerca di darsi delle spiegazioni sul perché sia accaduto proprio a lei, e arriva a costruirsi pensieri che poi il terapeuta dovrà ristrutturare nel corso delle sedute. Durante gli incontri con queste donne, ci si impegna affinché si ottengano dei cambiamenti a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, a favore di una tutela della propria incolumità in primis e a prendere consapevolezza di una realtà atroce che non deve mai più ripresentarsi. Ascoltare queste storie è un’esperienza esistenziale, che ci fa dubitare dell’umanità della gente. “La violenza è una mancanza di vocabolario”(Gilles Vigneault).
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