Il modello “Holly Hepburn” per riprendersi se stesse con l’eleganza

Stato Donna, 24 novembre 2021. Sono trascorsi più di sessant’anni dal romanzo di Truman Capote ambientato nella New York degli anni Quaranta, che ebbe un successo rumoroso grazie al film del regista Blake Edwards e che vide come protagonista l’impareggiabile Audrey Hepburn nei panni di Holly, donna che celebra il trionfo dello stile e dell’eleganza.

La Holly interpretata da Audrey Hepburn è uno dei personaggi femminili più memorabili del nostro secolo, è l’immagine sacra della donna provocatoria, una donna perseguitata dalla sua autentica incapacità di ricambiare amore e fedeltà. È una ragazza che non si preoccupa di riflettere se sia importante dare un nome alle cose, ai legami e ai sentimenti, lei trasuda vanità e accoglie la solitudine per vivere da unica protagonista la propria storyline, difende la propria autonomia e si illude che sia giusto rinunciare all’amore che nella sua mente ha la forma di una gabbia in cui gli uomini la vorrebbero rinchiudere.

Holly è libera, abbandona tutti, e abbandona con disinvoltura anche l’unico essere a cui sembra legata, Gatto, al quale non dà mai un nome per non assoggettarlo e renderlo familiare, lei non vuole che le appartenga nulla e non vuole appartenere. Lei desidera il lusso, i gioielli lo splendore dei party che gli restituiscono una sensazione di cui è stata privata, quella di benessere.

La Holly Hepburn fa rivivere la Holly Capote attraverso una donna con una  personalità di una profondità infettiva che esalta con raffinatezza e stile la ricchezza più feroce che demolisce la mediocrità in tutta la sua interezza, capace di interpretare il lusso di Tiffany attraverso una classe che respinge l’esibizionismo più ordinario e rozzo, è una che si acquieta passeggiando tra le vetrine di Tiffany senza sembrare inopportuna e superficiale, mai scomposta nei movimenti. E ammira e si fa ammirare.

 

Foto: Vanity Fair

Colazione da Tiffany non racconta di una donna il cui nome è Holly, ma rielabora un modello antropologico: un essere umano indulgente con sé stesso e unidirezionale a tratti primordiale e fragile per antonomasia, che si nutre d’istinto e di cambiamenti, e che è accessibile solo se accolto e rispettato. Nonostante sia una donna posseduta da un cortese scetticismo esibito anche con audacia è in tutta la sua costituzione segno rappresentativo di raffinatezza e di ammirazione, è l’evocazione dell’eleganza senza alcun effetto speciale o filtro. Vorremmo essere tutte Lei, già.

La verità è che alla bellezza esteriore, della forma, conservata nella sua originalità e natura corrisponde una personalità anticonformista e indipendente dalle manipolazioni. Si ricerca la bellezza in stereotipi che non sono autentici, schizzi di profili innaturali. Ci si impasta per diventare più belle, più sottili, più femmine, più armoniose, per appartenere. A chi? A cosa? E se ciò che mancasse oggi è l’eleganza? La classe senza inutili orpelli, la bellezza pulita, chiara e vera. Se solo imitassimo, nella sostanza, il modello antropologico “Holly Hepburn” impareremmo che è fondamentale rinvigorire l’individualità. Null’altro. Scomoda verità.

Eugenia Pagone, 24 novembre 2021

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