Le parole di Signorini sull’aborto affossano anni di lotte e di diritti
Stato Donna, 17 novembre 2021. “Noi siamo contrari all’aborto in ogni sua forma”. Così sentenziava qualche sera fa il conduttore tv Alfonso Signorini durante l’ultima puntata del Grande Fratello Vip. La polemica e la discussione si sono subito accese sui social, lambendo le coscienze e sfociando in un grande punto di domanda, avanzato da molti: chi si intende per Noi? La redazione del programma? Canale 5? Mediaset? La casa di produzione (che poco fa ha preso le distanze)? I presentatori tv? I cattolici? Gli italiani? Chi?
A questa domanda non ci è dato rispondere ma, ci perdoneranno lettrici e lettori per lo “spunto” poco dottrinale ma quanto mai di attualità, possiamo rifletterci sopra, fra cronaca e diritto, come siam soliti fare. Certamente è contraria all’aborto la Corte Costituzionale Polacca che poco più di un anno fa, con una pronuncia che molto fece e fa discutere, ha ulteriormente limitato l’accesso all’interruzione della gravidanza per le donne polacche, restringendo ancora il diritto all’aborto, già fra i meno riconosciuti d’Europa.
Nello specifico, la Corte di Varsavia ha sancito la incostituzionalità dell’aborto in caso di malformazione del feto, limitandolo così ai casi di stupro, incesto o di grave rischio per la vita della madre. Ma una norma così rigida, che persegue penalmente il medico e chiunque aiuti la donna ad abortire, ha sortito già i suoi primi effetti deleteri. In primis, ha fatto aumentare esponenzialmente gli aborti illegali e costretto moltissime donne (120 mila a provarci ogni anno) a migrare all’estero per poter abortire. Ma ha soprattutto causato il verificarsi di un triste caso di cronaca, di pochi giorni fa, che ha riacceso il dibattito, pure mai sopito.
Come riporta la “Gazeta Wyborcza”, Izabela, giovane 30enne di Pszczyna, è morta. Infatti, nonostante la grave malformazione del feto che portava in grembo e la perdita di liquido amniotico, i medici hanno dovuto attendere di poter dichiarare la morte del feto nell’utero, in fase di travaglio, prima di poter procedere all’interruzione della gravidanza, in ottemperanza a quella pronuncia della Corte polacca. E questo incolpevole (?) ritardo da parte dei medici ha generato varie complicazioni che hanno portato la giovane donna al decesso. Enorme il clamore destato in Polonia da questa tragica vicenda, che ha rinfiammato le piazze e le proteste che pure non si erano mai interrotte dal 1° novembre 2020.
Negli occhi di tutti le manifestazioni oceaniche per le vie di Varsavia dello scorso anno a tutela del diritto all’aborto sotto il vessillo rappresentante un fulmine rosso.
Quelle proteste, guidate da vari movimenti femministi e per i diritti civili hanno convogliato nelle piazze e per le strade migliaia di cittadini, donne e uomini, giovani e adulti, mettendo alle strette il governo polacco ultra nazionalista e poco incline al rispetto dei diritti umani, come dimostrano pure gli ultimi atti posti in essere ai confini con la Bielorussia pochi giorni fa. Ma nonostante queste veementi proteste, le “bacchettate” della Commissione Europea e le minacce di sospendere l’erogazione dei fondi in favore di un governo poco incline alla garanzia dei suddetti diritti, nulla è cambiato.
La sensazione è che in queste battaglie il popolo sia sempre lasciato solo. In quelle piazze in cui, urlando o in silenzio, protesta. Dove deve lottare, senza tregua, per non indietreggiare, per non fare della disumanità la norma e di una norma il passo verso la disumanità.
Dove il confine fra ciò che è giusto e cosa è sbagliato è saggiamente dettato solo dalla coscienza di quello stesso popolo. Temi delicati come l’aborto meritano di essere trattati nell’intimo della sensibilità di ognuno, donna o uomo che sia, senza che a decidere della vita di una donna o di un feto possa essere un conduttore Tv, una Corte di Giustizia o una Stato (pontificio o meno che sia), e così poi assorbiti dalle singole coscienze e dalla coscienza collettiva.
Ma oltre a ciò che la coscienza di un popolo detta, deve esserci poi il Diritto, inteso come ius, che deve essere sempre applicato dallo Stato, pur entro certi canoni, e deve riconoscere, nelle singole fattispecie, l’assolutezza e la superiorità delle norme contemperandole in un equilibrio perfetto con la libertà di scelta di ogni persona, e di ogni donna nel caso dell’aborto.
Esattamente ciò che ha dimenticato di fare il nostro Parlamento col DDL Zan. Quando i diritti a riconoscersi con quella Legge, sostenuti nelle piazze, sono stati utilizzati come vessilli delle due fazioni politiche, portando al suo affossamento, fra gli applausi di una delle “curve” dell’emiciclo romano; quegli stessi applausi risuonati nello studio tv ieri sera ad affossare anni di lotte e il diritto, in coscienza, di ogni donna a poter abortire.