“Sapevo che sarei risorta come una fenice, noi donne siamo così”
StatoDonna, 9 novembre 2021. Se avessi preso pochi centesimi per tutte le delusioni che la vita mi aveva dato, ora sei praticamente ricca. Non abbiamo un manuale che ci spieghi il perché accadano certe cose o che abbia le soluzioni di come affrontare un dolore o una difficile situazione.
Di una cosa ero certa: la sofferenza è una di quelle poche cose che accomuna tutti noi. Non solo quella fisica ma anche quella dell’anima, della mente. Stavo passando un periodo buio ed era come se la mia vita fosse la fotocopia del giorno prima. Mi sentivo come un fotografo che continuava a scattare ogni giorno la stessa foto. Nonostante fosse a colori, vedevo in essa solo nero con sfumature di grigi.
Ecco come era diventata la mia vita. Le troppe delusioni, ingiustizie, sofferenze, mi avevano reso una persona sterile e nel mio cuore sembrava esserci solo polvere che ogni tanto veniva mossa da qualche squarcio di momento gioioso.
Mi sentivo fuori dal normale e non sapevo come uscirne. Quando l’anima si ammala, forse nemmeno Dio riesce a guarirla. Lo sconforto mi aveva stretto in una morsa che si stringeva sempre di più col passare del tempo. I miei entusiasti “si” si trasformarono nel giro di poco tempo in un “no” perenne. Mi rendevo conto che non mi davo la minima possibilità di vivere un momento “normale” come fanno tutti. Ma la verità era che io non avevo nessuna voglia di sollevarmi dallo stato di agonia in cui mi trovavo. Rimanere così era molto più facile. Seppur il mio cervello, in modo responsabile e cosciente, diceva che dovevo sollevarmi, quando mi guardavo dentro vedevo una stanza buia e nessuna luce che mi potesse indicare la porta per uscire. Ma ero donna.
E da che mondo e mondo, abbiamo lottato nel corso dei secoli per affermare la nostra indipendenza, battendoci per le parità e le piene opportunità. Quando si vive in uno stato così angoscioso, tutto attorno a noi diventa sbiadito e succube dell’inerzia. Non ho memoria dell’ultima volta che mi sono truccata o messo un abito succinto per cercare di piacere ad un uomo. Camminavo per strada, e quando vedevo le altre o le mie amiche tutte sorridenti, mi chiedevo: “Come fanno? Io non riesco.”
Non riuscivo a concepire la loro felicità, sempre se lo fossero. O magari mascheravano bene la loro non felicità. Ma devo dire che in un certo modo provavo invidia. E per quanto una donna possa esserti amica, in certi momenti non puoi che ricevere una bella pacca sulla spalla e sentirti dire: “Non ti preoccupare. Andrà tutto bene.”
Mi ero sempre ripresa dalle delusioni della vita; sempre. Ma questa era una cosa diversa. Qui c’era qualcosa che non andava dal profondo. E diciamocelo, noi donne ci rialziamo sempre, è vero. Ma per farlo, nascondiamo la nostra angoscia dietro a un finto sorriso o forse ad un trucco messo con il solo scopo di mascherare ciò che stiamo passando. La nostra dignità emerge in certe situazioni in queste piccole cose.
Quei piccoli gesti che facciamo anche con sforzo affinché ci ricordino che siamo persone, donne, guerriere. Ogni difficoltà che ci travolge o che ci butta giù, tempra la nostra forza d’animo. E magari a volte ne usciamo graffiate, sconfortate, deluse. Ma in fondo al mio cuore, dietro a questa nube fatta di assenza di me stessa, sapevo che un giorno sarei risorta come una fenice. “Perché?”
Perché noi donne siamo così. E per tutte le volte che ho dovuto celarmi dietro a questa maschera, con la paura di essere guardata negli occhi ed essere scoperta nella mia fuga da me stessa, io ero convinta che altrettante volte se non di più avrei rialzato di nuovo la testa per farmi spazio tra tutti e prendere la mia posizione che spetta di diritto ad ogni persona. questo significava rialzare la testa e cercare di riconquistare nuovamente la mia “normalità” e il mio stare bene. Dopo la morte dei miei genitori, di mia sorella e il divorzio, era come se stessi solo aspettando la mia di fine. Soffrire per un uomo, quello che pensavi ti restasse accanto tutta la vita, quello su cui hai investito la tua quasi intera esistenza, mi spiazzò in modo deciso e potente.
Ora ero sola, solo con me, e dovevo riordinare tutto dentro per poter cercare il mio equilibrio. Molte persone avevano passato la stessa cosa più o meno ma quando capita a noi, ci accorgiamo di tutto ciò che poi ci è stato raccontato. Mi ricordo che una volta, una mia amica che era stata lasciata dal suo compagno, pianse nel raccontarmi tutto. Ma in fondo, dopo averla ascoltata e cercata di sostenerla, consolarla, dissi a me stessa che ero fortunata perché non era successo a me. Ora dovevo rimettere insieme i pezzi e cercare di costruire una nuova base della mia vita che mi permettesse di sostenere la mia persona e che mi procurasse un minimo di equilibrio.
Ma per quanto ci provassi, le difficoltà superavano di gran lunga le aspettative. Fu così che caddi giù per le scale della vita, rotolando su scalini fatti di dolore, tormento, rinunce. Era come se all’interno, giù per la mia anima, gridavo alzando il braccio animatamente per cercare un minimo di aiuto. Ma col mio essere apatica, ero diventata invisibile. E la beffa era che fu così facile che quasi non me ne accorsi. Una cosa positiva c’era: non restava che salire. Più in basso non potevo finire.
Avevo raschiato il fondo ed ero decisa, consapevole di tutte le difficoltà, a riprendere in mano ciò che restava della mia vita e soprattutto ciò che ancora avevo dentro di me e che mi rendeva donna. La solitudine all’inizio era un fardello che davvero non riuscivo in nessun modo a sopportare e che mi aveva tirato fuori lacrime fatte di amarezza, insoddisfazione.
Dio solo sa quante ne ho versate. A volte avevo la sensazione che mi fosse quasi amica. Non riuscivo a carpirne il significato di tutto quel peso dentro. Poi col tempo capii che la solitudine era la base della mia rinascita. Dovevo stare bene da sola per potermi amare di nuovo e alzare la testa. Imparai a farlo e dopo non so quanto tempo, un giorno, decisa a fare qualcosa che per tutte era normale ma non per me, mi trovai di fronte allo specchio.
Tirati fuori dal mio armadio un vestito che non indossavo da molti mesi. Quella sera ero decisa a varcare la soglia di casa con il coraggio e la voglia di smettere di camminare a testa bassa e di andare dritta per la mia strada guardando avanti. Mi resi conto che camminavo ma il mio sguardo era rivolto indietro, al passato. Ora ero decisa a far rumore tra le gente, armata della mia dignità, fino a riprendere la sensazione di completezza che mi rendeva Donna.