Stato Donna, 4 novembre 2021. Finalmente un ruolo impegnativo (dopo il deludente e piatto “Arrivederci Professore”, passando per l’ironico ed eccentrico scontato Jack Sparrow) per Johnny Depp, impegnato in questa pellicola di denuncia chiamata “Il caso Minamata”.
Tratto da una storia vera, racconta di William Eugene Smith, fotografo statunitense, volato in Giappone per documentare e indagare sull’avvelenamento degli abitanti di Minamata.
Un ruolo importante per questo genere di film classificato come film d’inchiesta (come anche Erin Brockovic , The Rainmaker fino al recente Cattive Acque), che porta lo spettatore a conoscere vicende storiche drammatiche che hanno segnato la vita di migliaia di innocenti e le loro famiglie. In particolare, la vicenda di Minamata (Giappone), parla dell’industria chimica Chisso, (coperta dalle forze dell’ordine nonché dal governo) che rilasciava mercurio nelle acque di scarico.
Per quanto la trama possa risultare vecchia come tema, bisogna dire che questo tipo di pellicola, in parte documentario e in parte film, lascia quella sensazione di angoscia che arriva fino ai nostri tempi, segnati dalla pandemia.
Il potere dei soldi che sovrasta l’importanza assoluta della vita della povera gente, costretta a subire perché non in grado di lottare contro colossi dell’economia. E quindi, da questo evento accaduto negli anni ’70, capiamo come molte volte sia cambiato il contesto sociale ma anche che nonostante il progresso e il cambiamento, il denaro risulti ancora più importante di una vita umana. L’ennesimo prodotto che parla di battaglie sociali ma che può lasciare nello spettatore un senso di soddisfazione motivata dalla giustizia che trionfa. La fotografia è sobria, asciutta. Lo stesso regista non usa particolari inquadrature che accentuino maggiormente la drammaticità dei fatti. Il controllato uso di luci rende l’idea dell’ambientazione ancora più fredda e dura.
I momenti (forse troppi) emotivi del film non si sposano bene con la musica a tratti invadente. Un paio di riflessioni vanno fatte però: la prima è cercare di comprendere il ruolo che ha avuto la fotografia come mezzo di documentazione storica dei fatti.
La seconda è che a volte una minoranza di persone motivate e decise a non abbassare la testa riesce ad ottenere (con sorpresa) la vittoria su dei giganti, come Davide contro Golia. Alla fine si gusta il sapore del trionfo, come nei titoli citati sopra, ma la domanda è: “A quale prezzo?” Nonostante i momenti drammatici che mostrano gli effetti della malattia di Minamata, il personaggio di Depp (modello di antieroe ordinario) riesce a mostrare in alcuni frangenti la sua umanità nascosta, celata dal troppo abuso di alcool, dal suo essere scontroso e dall’ossessione dei suoi ricordi del passato.
Il risultato è un buon film (forse un po’ troppo lungo e romanzato) che sicuramente non resterà indelebile nella memoria dei cinefili ma che ha dato sicuramente all’attore un motivo per farsi apprezzare di nuovo dall’ultima buona interpretazione risalente al 2015, nei panni del gangster irlandese James Burlger in Black Mass.
“Una fotografia può portare via un pezzo dell’anima del soggetto ma può portare via anche un pezzo dell’anima del fotografo.” E. Smith.
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