StatoDonna, 25 ottobre 2021. C’è un certo fermento a Foggia e provincia, fatto di inizi, di progetti culturali che vedono scavi e ricerche nuove, ma anche lo studio di materiali provenienti da scavi archeologici accantonati ed oggi riconsiderati. Una ripartenza inequivocabile per un settore periodicamente trascurato.
La ripresa degli scavi al Parco archeologico di Siponto e l’allestimento di una intrigante mostra di corredi sepolcrali rinvenuti ad Arpi una trentina di anni fa, riportano al centro della scena la brillante storia della archeologia della Daunia antica.
L’audace progetto “Siponto: archeologia globale di una città portuale” promosso dalle Università di Bari e di Foggia, in collaborazione con il Parco archeologico di Siponto (Direzione regionale Musei Puglia) e la Sabap di Foggia, sotto la direzione dei professori R. Goffredo, M. Turchiano e G. Volpe, ha posto all’attenzione di tutti una questione di metodo e ancor più di riflessione sul ruolo dell’archeologia pubblica, una espressione dalle diverse sfaccettature che spinge a diverse forme di partecipazione possibili per la costruzione di una consapevolezza comune dell’ enorme patrimonio archeologico, culturale e paesaggistico di cui disponiamo. È dalla consapevolezza che si matura l’esigenza di valorizzazione e quindi di fruizione, di gestione, di conservazione di un patrimonio inestimabile.
Un parco che inizia a mostrare la Sipontum tardo antica e medioevale collegata alla basilica paleocristiana, documentata in anni diversi dal prof. M. Fabbri e dalla prof.ss K. Laganara ed enfatizzata poi dalla meravigliosa installazione di E. Tresoldi; ma anche la Sipontum romana citata da Livio e Cicerone, da Strabone e da Plinio il Vecchio, quella dell’anfiteatro inglobato nella settecentesca Masseria Garzia, studiato da M. Mazzei, meraviglioso esempio della capacità dell’uomo di riutilizzare l’antico concedendogli nuova vita.
Un parco che inspiegabilmente non è dedicato alla memoria di Marina Mazzei che qui lavorò su due piani, quello amministrativo per vincolare l’area e quello archeologico per documentare l’importanza del sito rimarcando la necessità di tutelarne la memoria storica per le generazioni future. È al suo impegno che dobbiamo ciò che oggi possiamo visitare. “Capita, come è accaduto a chi scrive, il privilegio di svolgere la professione di archeologo nella terra di nascita, e di provare, scavando nel passato, la sensazione di essere ancora più parte della propria comunità.
Quando, però, la memoria del passato, consegnata quasi integra alle nostre generazioni, appare quotidianamente segnata, mutata, stravolta, distrutta, così come oggi accade nella nostra provincia, ci si propone- aggiungendo affetto filiale al ruolo istituzionale – di tentare tutte le strade possibili per difenderla e lasciarla anche a chi viene dopo di noi, preservando un monumento, un paesaggio antico, un po’ di storia”. Così scriveva la Mazzei nel 1999 presentando Siponto antica, per i tipi di Claudio Grenzi, il primo grande lavoro complessivo su questo insediamento, il cui studio procedeva di pari passo con la documentazione della poco distante Arpi.
“Arpi riemersa. Dalla rete idrica allo scavo delle necropoli (1991-1992)” è il titolo dato ad un allestimento in corso ma eccezionalmente visitabile presso il Museo del Territorio di Foggia, nel quale si pongono in mostra i corredi ed i materiali recuperati tra il 1991 ed il 1992 a margine degli scavi delle condotte irrigue per i campi agricoli in cui è nascosta la città di Arpi. Le ricerche archeologiche condotte da M. Mazzei erano spesso determinate da contingenze fortuite e non programmate e molti grandi quadri storici sono stati ricostruiti a seguito dello studio di quanto scampato a scavi clandestini. Basti ricordare tra tutte le storie possibili quella dell’Ipogeo della Medusa.
Il lavoro di restauro e di contestualizzazione storico-culturale di quasi trecento pezzi collocabili tra il VI ed il III secolo a.C. nasce dalle sinergie della Soprintendenza ai beni archeologici di Foggia, dell’Università di Salerno, dell’ l’École française de Rome et le Ministère de l’Europe et des Affaires étrangères (Paris) e del Centre J. Berard di Napoli e nel lavoro del dott. I. Muntoni e di S. Patete, delle dott.sse C. Pouzadoux e P. Munzi, del prof. A. Santoriello, e si lega a quell’Arpi Project, Formes et modes de vie d’une cité italiote (IVe-IIe siècle av. n. è.). che da circa dieci anni mira a tessere un quadro organico riconsiderando materiali di scavo, documentazione e riflessioni che hanno segnato la carriera di una importante archeologa dello Stato della quale non si deve smettere di ricordare né l’impegno civile né la passione per raggiungere quell’obiettivo di garantire un diritto al cittadino “al quale bisogna, come nell’organizzazione sanitaria, offrire un servizio serio e qualificato”.
Sarebbe opportuno ed è necessario garantire la memoria storica di una personalità eccelsa del cui lavoro beneficiamo ancora oggi a quasi vent’anni dalla prematura scomparsa.
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