Elezioni amministrative nei piccoli centri, risorgono i soliti schemi patriarcali
Stato Donna 15 ottobre 2021. Non è facile la vita per le candidate donne, soprattutto nel voto per le amministrative. Paradossalmente si ottiene più spazio alle politiche.
Specialmente se c’è un partito nel quale si è fatta una certa gavetta, e questo di norma avviene nelle città, piccole e grandi. Ma riflettiamo su cosa avviene in un piccolo paese tipo il mio, Ascoli Satriano.
La vita delle donne si sta guadagnando nuovi spazi e questo è indubbio. Non è raro vedere mamme che, accompagnati i figli a scuola, siedono al bar a fare quattro chiacchiere. Cosa impensabile alle nostre latitudini fino a qualche decennio fa. E vederle sedute al bar offre una immagine di spazi nuovi e di nuove libertà. Sul piano individuale e sul piano sociale limitato alla sfera delle amicizie è sicuramente così.
Ma che succede quando si profilano le votazioni amministrative nel proprio Comune? Le donne spariscono dalla socialità condivisa. E quelle che si affacciano alla politica lo fanno perché cooptate, anche sulla scorta della legge che impone, sbagliando, le quote rosa. La donna non è un panda, cui bisogna garantire la sopravvivenza. Non dovrebbe avere bisogno di quote privilegiate ma di un nuovo modo di vivere la socialità in maniera che non sia confinata alle sole amicizie. La legge sulle quote rosa partiva indubbiamente da un buon proposito, quello di incentivare la partecipazione femminile alla vita politica ma, a distanza di anni, sta rivelando i suoi limiti. Un po’ quel genere di limiti che sono imputati al reddito di cittadinanza da parte di alcuni detrattori. In pratica, chi viene portato avanti per legge svilupperebbe una pigrizia mentale nel modificare il proprio stile di vita, nella ricerca del lavoro nel caso del reddito di cittadinanza, nella ricerca di un ruolo attivo in politica nel caso delle donne. Le donne fanno rete al bar, nei festeggiamenti vari, tra cui quello dell’8 marzo, ma rimangono silenziose in politica.
E sono sempre un passo indietro ai maschi. Sempre. Insicure di potercela fare senza essere cooptate da una lista maschile abituale e abituata alla lotta politica. L’agone politico sembra avere schemi prestabiliti ai quali pare che sia inevitabile adattarsi. Non hanno ancora compreso, le donne, che c’è bisogno invece di un pensiero nuovo e soprattutto divergente. La politica maschile, non sempre ma nella maggior parte dei casi, coincide con il guerreggiare una guerra civile che si protrae oltre il risultato elettorale e che inquina anche i periodi in cui gli amministratori dovrebbero pensare a governare e basta. La donna potrebbe avere nel suo dna di madre la capacità di individuare le differenze fra gli interlocutori, di rispettarle, di rispondere ad esse con la naturale consuetudine che le deriva dalla natura stessa, che le ha insegnato nei millenni a conciliare l’inconciliabile fra figli tutti diversi e tutti ugualmente amati.
Tante cose potrebbe fare una donna, se si avventurasse senza reticenze nel campo della politica attiva. Senza essere al traino di altri. Ma c’è tanta strada da fare e tutta nuova. Perché, tra l’altro, la donna, che è libera di andare al bar, non può frequentare l’agorà, che si compone di circoli tutti rigorosamente maschili, e di sedie disposte in fila e all’aperto nella bella stagione, dal primo pomeriggio a tarda sera.
L’agorà, la piazza del paese, resta il luogo di aggregazione per eccellenza maschile, dove si svolgono gli incontri e gli scontri, dove si decidono le separazioni e le alleanze, perfezionate solo in seguito in riunioni al chiuso. Dove ogni maschio si sente uno statista alla Richelieu. E non c’è nulla di sbagliato in questo, sia ben chiaro. La monotonia della vita sonnolenta nei paesini, la passività che la politica nazionale chiede a tutti i suoi cittadini merita le meditazioni individuali e di gruppo. Ma l’interdizione del tempo libero e del tempo libero trascorso nell’agorà è un grosso limite alla vita attiva delle donne. Non ci sono occasioni per fare veramente squadra.
Non c’è l’abitudine alla discussione dei problemi politici, a tutti i livelli. Pochi sono i casi in cui ci si dedica anche a questo. Ma sempre nella grave limitazione dei movimenti.
Un altro grande limite è costituito dalla loro vulnerabilità, che porta le donne a soppesare con molta cautela le proposte di candidatura soprattutto alle amministrative, nei casi in cui la loro presenza ostacolasse in qualche modo amicizie politiche già consolidate. Sono le prime a tirarsi indietro e ad accampare una serie di motivazioni per i no che dicono o che sono costrette a dire al richiamo anche delle semplici ed innocue quote rosa.
C’è tutto un mondo da scoprire e da risistemare e non sarà facile. Servono una volontà forte e una diversa strategia. E serve una squadra vera, efficace, che lavori senza colpi bassi, una volta che un’impresa così innovativa sia stata iniziata. Quei colpi bassi spacciati per concretezza e che portano gli amici a diventare nemici e nemici a farsi di nuovo amici. Serve chiarezza e una ventata di freschezza in quella roccaforte che è considerata la concretezza maschile nello sbrigare bene la res comune. E forse servirebbe anche abbandonare un pensiero sottaciuto: che il silenzio delle donne in genere significhi minori capacità rispetto a quelle maschili. Non è inconsueto, per chi guarda con attenzione, notare come dietro a tanti uomini di facciata si celino intelligenze espresse in sordina, quasi a non voler pregiudicare il valore pubblico del padrone di casa, chiamiamolo così. Questi sono retaggi di un patriarcato duro a morire, nonostante la picconatura cui è stato esposto dal 1968 in poi. L’intelligenza mortificata. La voce abbassata.
E l’accontentarsi semmai di dettare legge nel chiuso delle pareti domestiche. Come esortava a fare un personaggio di cui ci parla lo scrittore greco Senofonte: collaborazione ma piani distinti e ben separati. Ma oggi non si possono più seguire indicazioni come quelle di Senofonte, che risalgono alla bellezza di 2500 anni fa. Bisogna trovare l’equilibrio nel non gareggiare con i maschi e contemporaneamente non rivestire sempre e comunque un ruolo ancillare. La vera parità di genere non dovrebbe più consentire il perpetuarsi di questi squilibri, che sono frutto della storia e delle sovrastrutture culturali, non della natura. È difficile ma bisogna pur cominciare. E nessuno regala niente.
È la donna che deve farsi avanti. Con coraggio. In un sano rapporto con il maschile, nella consapevolezza della differenza fisiologica ma non spirituale e mentale. Questo occorrerebbe. E qui naturalmente contano le famiglie e la scuola. Inutile dire che parte tutto da lì. Solo una buona educazione alla cittadinanza può portare alla fine dello scontro tra i sessi, che, iniziato presumibilmente al tempo della rivoluzione agricola del Neolitico, vede l’uomo sempre trionfante o addirittura violento quando questa supremazia viene ostacolata.
Al momento le elezioni amministrative fotografano più o meno questa situazione. Aspettiamo i regolari ballottaggi che verranno espletati fra due giorni nel solco consueto. Nel frattempo vediamo se si può ipotizzare un futuro diverso.
Maria Teresa Perrino