È la festa d’ autunno quando l’uva si trasforma in mosto e si mescola al grano
Stato Donna, 28 ottobre 2021. Se sia dolcetto o scherzetto lo decide chi apre la porta ai bambini vestiti per Halloween, entusiasmati dalla questua e dagli accessori vagamente infernali che indossano.
La festa, – per pubblicità nelle vetrine o sui social, per richiami nelle scuole elementari spesso legati alla saga di Harry Potter– supera di gran lunga, in notorietà, quello della “calza dei morti”, un’usanza legata alla befana in altre parti d’Italia che a Foggia si esprime nel dono di caramelle o carbone proprio in questi giorni. Da noi resta ancora forte un altro rito più antico, quella del “grano cotto”, i chicchi di spighe messi a mollo e poi conditi con qualche variazione negli ingredienti tranne la base.
Il culto del grano è legato a quello dei defunti, una ricorrenza che affolla i cimiteri di gente e di fiori e rinverdisce il pellegrinaggio ai loculi cui qualcuno dedica letteralmente gran parte della propria giornata. Lasciamo stare il ponte di grande affluenza nel quartiere del riposo eterno, il quotidiano di chi staziona vicino alle tombe dei propri cari ha una sua specificità, e diventa spesso un’ossessione.
Quasi fosse il corredo funebre di un faraone egizio, ho visto gente rivestire la tomba di tutto quanto era appartenuto a lui durante la vita. Ho visto donne che hanno dismesso il lutto- non si porta più vestirsi di nero per tutta la vita- ma trascorrere ore intere sedute sulla sedia dialogando con il “cenere muto”, diceva qualcuno. E spolverare, lucidare il marmo nemmeno fosse un pezzo dell’arredo di casa.
Certo, il culto del sepolcro è immortalato dalla letteratura ma qui parliamo di frammenti di vita personale, di costume, di tendenze locali. Ho visto il cimitero cambiare volto e le tombe sorte sulla nuda terra crescere negli anni perché è bello vedere spuntare i fiori senza vasi, che fra l’altro rubano, come le decorazioni finte e di pregio, come le coroncine di moda recente. Non è più un segno di povertà farsi seppellire fra le zolle come poteva essere qualche anno fa.
La notte fra l’uno e il due novembre, in alcune case, si lasciano pane ed acqua sul tavolo. “E’ la notte dei morti”, ci dicevano da piccoli, ma molti di noi non capivano e molti adulti di oggi continuano a chiedersi cosa significhi e quale valore abbia la simbologia collegata al grano cotto. Siamo il Tavoliere delle spighe, in concorrenza con il prodotto estero, che si porta dietro una lunga tradizione agricola. Secondo le più antiche credenze, l’uomo che lavora la terra in qualche modo la profana, dunque, per risarcire ciò che da sempre appartiene agli antenati, deve dedicare loro sacrifici.
Da qui nasce l’usanza del grano come offerta di cui abbiamo perduto le coordinate, coltivazione per eccellenza insieme a quella della vite, rappresentata dal mosto tramutato in vino e che si usa per condire i chicchi. Pietanza catalogata nei ricettari, va esaminata nei suoi ingredienti.
Il melograno è fructus caro agli dei degli Inferi, condanna irrevocabile se mangiato nell’oltretomba, come successe a Persefone, perché si resta legati per sempre al mondo dell’Ade. Ma le fu data una concessione, sei mesi sulla terra per inaugurare la primavera. Anche gli dei hanno un’anima, soprattutto se lo vuole Zeus. Da quest’alternanza scaturisce il ciclo di nascita e morte di derivazione orientale, come quello di Ishtar, la grande Madre con vari sincretismi.
Il grano cotto si fa con le noci il cui albero è legato ai riti dionisiaci e alla fertilità. In epoca cristiana si racconta del noce di Benevento dove si incontravano le streghe, albero, secondo il mito, tagliato e poi rinato. Simbolo ambivalente, la noce evoca gli inferi, l’oscurità, o la vita, il principio della crescita, una polarizzazione frequente nella civiltà antica e ctonia, legata alla terra. E la cioccolata? Arriva in un secondo momento quando la pietanza dei morti, anche con confettini e canditi, si arricchisce di prelibatezze uscendo dal rigore contadino dell’uva tramutata in mosto che sposa il grano.
Se la festa del grano rimane in famiglia, quella delle Fucacoste di Orsara è ormai un appuntamento consolidato, forse l’unico grande evento della nostra provincia che diventata l’anti-Halloween suo malgrado. Zucche caratteristiche per come, dall’intaglio, ricevono un lume al loro interno, fanno bella mostra di sé mentre i falò accompagnano le anime del Purgatorio (Cocce priatorije) verso il paradiso. La tradizione si snoda per le strade del paese e gli orsaresi si affannano a spiegare ai visitatori che la loro festa “non ha nulla a che fare con quella di Halloween”.