“La democrazia non si prefigge il conformismo sociale, ma valorizza la differenza”
STATOQUOTIDIANO.IT, Foggia 06 ottobre 2021. Una delle sfaccettature più esaltanti del fare scuola è nell’avere l’opportunità di veder nascere e poi poter leggere lavori multidisciplinari che intrecciano in modo fluido esperienze e conoscenze attinte da più voci, da più maestri e fatte proprie. In questa fusione c’è tutto il senso del lavoro sistematico e operoso dei consigli di classe, un puzzle completato da più mani che si sono avvicendate durante il quinquennio di studi.
Questo testo, una tessitura appunto di trame poliedriche e coerenti, offre un caleidoscopio di riflessioni cucite intorno all’arte politica. Tema antichissimo approfondito per gli esami di stato, che qui di seguito riportiamo in forma più sintetica rispetto al lavoro discusso in quella sede. La trattazione è di Michela Prencipe, ex alunna della classe 5° A del Liceo Classico “V. Lanza” di Foggia, as 2020/2021. Indovinate un po’ cosa ha scelto di studiare all’Università questa ragazza?
Laura Maggio
Docente di Lingua e Cultura Greca e Latina, Liceo Classico “V. Lanza” Foggia
L’arte politica e la sua missione
La storia dell’uomo è il perché e il come della sua esistenza. E’ la condivisione di corpi e pensieri, di anime che, stanche di errare in cerca di salvezza dall’oblio, preferirono affidarsi le une alle altre. Così, dall’arida terra dell’individualismo sorse lo zampillo di una fonte inestimabile e inesauribile di calore e comunione. Era l’essere, e si fuse in moltitudine, altrimenti ingenerabile e sterile; la polis, un mare di vite e di forze simili e contrapposte. Nel caos primordiale prese avvio quell’eterna e complessa arte di trasmutazione del pensiero in linguaggio, dello scontro in dialettica. Compito e obiettivo rimane ancora oggi a carico della politica, perciò del cittadino, del lavoratore, della persona. In questo contesto la figura del docente si presenta come quella del primo legislatore tra l’io e gli altri, in grado di dar forma ai pensieri ancora acerbi dei cittadini del futuro. Quintiliano riporta, nell’Institutio oratoria: “l’insegnamento non è finalizzato al mero nozionismo e alla passività ma al far fuoriuscire le buone inclinazioni dell’animo”.
E’ l’e-ducere, il “portare fuori”, la maieutica di Socrate, in parte ripresa dalla comprensione esistenziale autentica di Heidegger in Essere e Tempo. Quintiliano, inoltre, pone l’accento sull’importanza, della convivenza e della condivisione di esperienze per suscitare nei giovani una precoce attitudine alla vita sociale, una riflessione critica personale non basata sul senso comune e una esistenza pienamente attiva, abituandoli al confronto con gli altri, per mezzo di un’istruzione impartita a scuola anziché a casa. E’ la dialettica il tramite di pluralità culturali e politiche tra i cittadini. Solo grazie al dibattito assembleare ha potuto prendere forma la Carta Costituzione, solo grazie alla collaborazione tra le varie brigate partigiane l’Italia è stata liberata dal fascismo e solo grazie alla seduta comune il Parlamento può eleggere o mettere sotto atto d’accusa il Capo dello Stato. Nell’età imperiale latina in molti manifestarono il loro malcontento per l’assenza di libertà di espressione. Tacito non nascose il suo odium adversos dominantes. Nel De vita et moribus Iulii Agricolae, esprime attraverso la figura del suocero tutto il senso di liberazione per la fine della tirannide di Domiziano. Difatti, nonostante cerchi di dissimulare e di nascondersi dietro la promessa di raccontare gli eventi sine ira et studio, rifuggendo sia l’adulatio sia la malignitas, fallisce nell’impresa. L’essere cammina, altre volte corre, tante altre cade ma se c’è una costante lungo il suo percorso, quella è il bivio. L’incrocio che lo chiama a prendere posizione, a compiere una scelta, che insinua il dubbio ma che innegabilmente gli permette di crescere e avanzare, il noto fork in the path (“incrocio nella via”) di Frost in The road not taken.
L’esistenza è questo: l’aut aut kierkegaardiano, ma anche, e soprattutto, la πράξις politica. Impensabile è, perciò, affermare che la politica sia qualcosa di avulso dalla nostra routine, che sia un’arte in capo ad un’élite, che sia impraticabile se non a pochi.
Nell’abitudinarietà e banalità della vita quotidiana, l’uomo si fa politica con il suo modo di essere-nel-mondo, essere-tra-gli-altri, come lo definirebbe Heidegger, ed essere essenzialmente possibilità. La πολιτική τέχνη, era infatti concepita come la capacità di “stare insieme”, di saper essere cittadini, di partecipare attivamente come cittadino alla vita della comunità e, nel pensiero sofista, l’uomo era diventato misura del giusto e dell’ingiusto. Platone, di contro, pensava ad una καλλίπολις con leggi pattuite tra i saggi. Da ciò derivano problematiche che ci affliggono ancora oggi.
Nella “città buona” platonica, si veniva a creare un governo di pochi che tendevano a prevaricare, attraverso l’arte della persuasione, per ottenere per sé maggiori benefici: la pleonexia. Questa situazione provocava un sentimento d’ira nei cittadini che vedevano le leggi imposte e rivendicavano la parola. Successivamente però la rabbia lasciava il posto alla rassegnazione: l’atarassia. Solo con il trionfo della democrazia ateniese l’assemblea, la δήμου κρατούσα χείρ (“mano potente del popolo”), con la maggioranza stessa costituiva la legittimazione della decisione, realizzando così l’isonomia. L’aristocratico radicale Callicle, però, nel dialogo platonico Gorgia, afferma che la democrazia, con la pretesa di equiparare tutti i cittadini, fosse stata diffusa dai più deboli per evitare di essere dominati dai più forti, laddove per legge di natura è giusto che i migliori prevalgano. A fronte di questo diritto naturale, le leggi della πόλις e l’educazione che questa impone ai suoi abitanti sembrerebbero paragonabili ad una sorta di addomesticamento, al fine di un livellamento generale. Ma la democrazia non si prefigge il conformismo sociale, principale minaccia alla libertà politica, al contrario è la valorizzazione di ogni differenza sociale, culturale e politica.
La spersonalizzazione dell’individuo costituisce il primo passo verso il totalitarismo; l’estraniazione dalla vita pubblica, l’alienazione non solo nei confronti del proprio essere ma anche di coloro che ci circondano è la “perdita del mondo” della Arendt.
L’esistenza è sostanzialmente agire, inteso come civiltà dell’azione e del discorso, e non come attività finalizzata alla produttività e all’avere che secondo Fromm in Avere o Essere? hanno confinato l’uomo in uno stato di apatia e infelicità. Ciò porta all’inanismo pirandelliano di Arte e coscienza d’oggi, all’indifferenza disapprovata da Gramsci in Odio gli indifferenti e da Calamandrei nel suo discorso, del 1955 a Milano, sulla Costituzione della Repubblica italiana, in cui invita i cittadini all’impegno politico e a farsi testimoni dello spirito di tutti coloro che parteggiarono sulle montagne e tra le macerie.
L’uomo è tale innanzitutto perché esiste e non necessita di uno scopo, in quanto è egli stesso la ragion d’essere. La missione della politica, pertanto, non è il potere ma la formazione e la maturazione dell’essere, di modo che la sua esistenza risulti sempre viva.